La canapa è il prototipo della pianta medicinale: ora serve riaprire la strada alla ricerca
Quanto sia riduttivo e miope il parallelismo tra cannabis e sostanza illecita è emerso chiaramente durante uno dei convegni organizzati in occasione della fiera Canapa Mundi a Roma. Nella sua relazione dal titolo “Cannabis terapeutica: proprietà farmaceutiche e sue applicazioni“, il chimico delle piante e docente di biologia farmaceutica Prof. Orazio Taglialatela Scafati dell’Università degli Studi Federico II di Napoli ha illustrato le eccezionali prospettive mediche che deriverebbero da l’utilizzo del fiore di canapa.
E’ infatti questa la parte della pianta che contiene le sostanze fitocannabinoidi. Proprio grazie a uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Napoli è stato possibile riscontrare che i fitocannabinoidi della canapa sono addirittura 140. Nessuno di essi ha effetti psicotropi, tranne il noto THC (tetraidrocannabidiolo), che però la pianta può produrre, nella sua forma in grado di interagire con i recettori umani, soltanto in tempi molto lunghi. Di per sé infatti la molecola di THC non ha modo di essere attiva sui recettori cerebrali, ma richiede un processo di decarbossidazione attraverso conservazione, essiccamento o riscaldamento in forno.
Detto questo, e per utilizzare le parole del Professor Taglialatela Scafati: “La cannabis è il prototipo della pianta medicinale. E’ grazie ad essa che abbiamo scoperto una nuova via neurale e l’esistenza di recettori cosiddetti cannabinoidi”.
I due principali fitocannabinoidi contenuti nel fiore, THC e CBD, ci consentono di classificare le diverse tipologie di canapa: da quella da fibra (che contiene un THC inferiore a 0,2%), a quella medicinale (che ha una percentuale quasi paritaria tra CBD e THC, intorno al 6% ciascuno), per concludere con la canapa stupefacente (in cui ovviamente sono state selezionate cultivar con livelli di THC molto superiori a quelli di CBD).
Il fitocannabinoide CBD agisce quale antagonista naturale del THC. Senza entrare in troppi dettagli chimici, diremo che ogni organismo animale, non soltanto quello umano, presenta dei recettori specifici per le sostanze cannabinoidi. L’organismo vivente, infatti, è in grado di produrre da sé i cosiddetti endocannabinoidi. Tali sostanze, secondo le ultime ipotesi, avrebbero la facoltà di riportare l’organismo alla quiete dopo stimoli esterni che innescano la produzione di adrenalina. Non a caso, i recettori per gli endocannabinoidi (detti CB1 e CB2) sono dislocati non soltanto nell’area cerebrale, ma in tutto il corpo (nel sistema immunitario).
“E’ come se queste sostanze endogene – spiega il docente – dicessero all’organismo animale di rilassarsi, mangiare, dormire, dimenticare, e proteggersi, in quanto agiscono sui sistemi complessi che presiedono al sonno, all’appetito, alla memoria, etc.. Insomma gli endocannabinoidi tendono a riportare l’omeostasi nell’organismo dopo una stimolazione. Pensiamo al caso della gazzella inseguita da un predatore. Dopo la forte scarica di adrenalina che induce l’organismo a una risposta rapida e stressante, l’intero sistema viene riportato alla normalità proprio dalla presenza degli endocannabinoidi che agiscono sui recettori presenti nel corpo”. Tutto ciò spiega anche il motivo per cui gli effetti della cannabis variano da soggetto a soggetto, vista la quantità di recettori coinvolti nell’interazione.
Riaprire la strada agli studi clinici
L’utilizzo medico della cannabis può essere datato a 3000 anni fa. Si usava come antidolorifico per i dolori di parto, dismenorrea, reumatismi, in dermatologia e come antiemetico. La regina Vittoria lo utilizzava abitualmente, soffrendo ella di dismenorrea.
Come spiegato dal professor Taglialatela Scafati: “Si trattava di un medicinale diffusissimo, quello che potremmo definire da banco. Era a base di cannabis e se ne faceva un consumo di massa. Il bando del Novecento contro la cannabis si spiega non certo per ragioni mediche, bensì per motivazioni sociologiche, politiche ed economiche. Oggi servirebbe voltare pagina e avvalorare scientificamente gli effetti dei fitocannabinoidi, che sono noti solo per rilievi empirici che per caso ne hanno svelato le proprietà terapeutiche. E sto parlando degli effetti di tutti i fitocannabinoidi”.
Se è vero infatti che gli attuali medicinali autorizzati in Canada e negli Stati Uniti sono a base di THC, tutti gli altri gruppi di fitocannabinoidi sembrano presentare effetti farmacologici. Il che significa che perfino la canapa industriale potrebbe essere utilizzata per la realizzazione di farmaci! Lo stesso fitocannabinoide CBD ha già dimostrato effetti utili nel trattamento dell’epilessia, con proprietà anche neuroprotettive, anti-Alzheimer, antinfiammatorie. “Purtroppo il bando alla cannabis – sottolinea il docente – ha bloccato non soltanto la coltivazione e la commercializzazione della canapa, ma anche tutta la ricerca in materia. Ancora oggi è difficile passare dalla fase teorica a quella della sperimentazione clinica, proprio per via di una opposizione preconcetta a farlo”.
Sarebbe il caso di recuperare il tempo perduto, partendo dalle basi del metodo scientifico.
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