Canapa industriale nel mondo, fra nuove leggi, confusione, successi, ambiguità, incertezze
È una realtà a scacchiera quella della canapa industriale nel mondo, ma con caselle non di soli due colori, nero e bianco. Esistono diverse gradazioni tante quante sono le diverse definizioni date alla filiera della canapa, differenti dispositivi di legge, norme molto restrittive o a maglie molto più larghe. Un universo in formazione.
La canapa è un concentrato di soluzioni sostenibili con una comprovata serie di successi a livello globale. Nel mondo sono una quarantina le nazioni che permettono la produzione di canapa e lo sviluppo della filiera industriale.
I dati, iniziando da quelli degli anni 90 dello scorso secolo fino agli ultimi disponibili fra 2015 e inizi 2016, danno comunque un quadro in grande espansione per la canapa industriale nel mondo e una graduale ma rapida conoscenza e sperimentazione per quanto riguarda le potenzialità della canapicoltura e dei prodotti che si possono ottenere dalla pianta.
Secondo il Denver Post, nel salto 2014-2015, la vendita negli Stati Uniti di prodotti da canapa ha avuto un balzo del 25%, da 400 milioni di dollari a circa 500 secondo le stime dell’HIA, l’Hemp Industry Association.
È bene ripeterlo, la canapa è un’industria da miliardi di dollari con proiezioni di crescita incredibili.
Cina – Paese dalla millenaria tradizione sulla canapicoltura, non ne ha mai proibito la coltivazione, ma vieta con estremo rigore le forme di prodotti con possibili psicoattivi della Cannabis Sativa. È praticamente il più grande produttore di canapa al mondo rappresentando circa la metà del quantitativo globale.
Nel colosso-nazione dell’Asia hanno scoperto nel corso dei secoli secoli gli innumerevoli usi e benefici della pianta continuando la ricerca fino a oggi, tanto da garantirsi già nel 2014 oltre la metà dei 606 brevetti sulla canapa registrati dall’Ompi, Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale delle Nazioni Unite.
Negli ultimi anni, aziende cinesi del settore hanno raggiunto un fatturato di circa sei o sette volte il valore delle loro immobilizzazioni.
India – Altra grande nazione dell’Asia, protesa fra nuova e vecchia era nell’industria della canapa sativa, chiamata in un antico testo, “l’erba sacra”. Anche qui la pianta è conosciuta e utilizzata sin da tempi estremamente remoti, ma ha visto lo stop in epoca moderna con un divieto di coltivazione durato fino al 1985.
Il via libera è poi arrivato a livello federale, ma i singoli stati indiani hanno continuato a osteggiare le coltivazioni e l’utilizzo non rilasciando le dovute licenze alle aziende.
Nel 2011 fu costituita la IIHA, Indian Industrial Hemp Association con lo scopo di promuovere e sostenere l’industria della canapa, associazione che nel 2014 ha convocato le varie organizzazioni nazionali e internazionali fissando la prima conferenza indiana sulla canapa. Alla fine del 2015, lo stato dello Uttarakhand è diventato il primo in India a legalizzare la produzione di canapa.
Il ministero dell’Industria Tessile ha considerato questo primo passo come un modo per gli agricoltori indiani e per l’industria nazionale di entrare con forza nel mercato della canapa industriale nel mondo che vede il dominio di Cina, Francia e Germania: la coltura della pianta per la produzione di fibra potrebbe far guadagnare all’India una bella fetta del mercato globale ormai attestato a ben oltre gli 800 milioni di dollari registrati nell’ormai lontano 2013.
Sud Africa e Malawi – La nazione più a Sud del cosiddetto “Continente Nero” è stata la prima di quella fetta di mondo a legalizzare la produzione di canapa, anche se poi ha rallentato nel rilasciare le licenze commerciali.
Da una parte il Consiglio per la ricerca agricola del Sud Africa ha testato diverse varietà di canapa adatte al clima regionale utilizzando cultivar europee ed etichettando la canapa come coltura agricola.
Dall’altra la macchina legislativa è andata più lentamente facendo sì che, stranezza, la canapa debba ancora essere importata.
Il Dipartimento della Salute controlla il rilascio dei permessi di ricerca, fattore che comporta ancora un’altra stranezza, quella della certificazione di possedere uno “stupefacente”. Nonostante l’assenza totale o apprezzabile di un principio psicoattivo, in Sud Africa non ci sono aziende agricole che possano operare nel settore. Eppure sono già stati identificati settori di produzione legati alla cultivar:
- fibre vegetali per parti di automobili (cruscotti, pannelli porta, ecc)
- carta ecologica
- cemento naturale, mattoni e pannelli di isolamento per l’edilizia abitativa
- lettiere per animali
- nutrizione dai semi per la loro ricchezza di acidi grassi essenziali
Eppure la filiera della canapa potrebbe essere un contributo a ridimensionare problemi gravi, da quello abitativo alla malnutrizione, senza tralasciare la creazione di occupazione.
Non tutto comunque resta fermo, aspettando i tempi della macchina burocratico-legislativa. È stata lanciata la NAFI, National Agri-fibre Initiative, voluta per promuovere l’industria agro-fibra in Sud Africa: l’iniziativa sta avendo successo facendo opera di divulgazione e sensibilizzazione oltre che a coagulare una sorta di lobbying a sostegno di quest’industria nascente.
Ecco nascere nomi come Hemporium, a Città del Capo, attiva in 15 anni per l’importazione e lo sviluppo di prodotti della canapa in Sud Africa: ha collaborato con altri partner per tre anni in varie sperimentazioni sulla canapa a Western Cape, definendo la tipologia, lo sviluppo e la produzione della cultivar.
Nel Malawi invece è stato permesso alla Invegrow Ltd, società fondata nel dicembre 2013, con l’obiettivo di dar vita e far crescere una filiera di canapa industriale in Malawi e in Sud Africa, di condurre studi di ricerca da novembre 2015. Risultati a fine 2016, tanto che il governo del Malawi e la stessa Invegrow sperano di iniziare presto la produzione di canapa commerciale.
Un ottimo spunto per questa nazione africana che ha un’economia basata prevalentemente sulla produzione agricola: la canapa consentirebbe di avere nuovi e importanti introiti con la creazione di materie prime per l’esportazione e prodotti a valore aggiunto. Serve urgentemente una rete di distribuzione e di canali giusti per l’immissione nei flussi commerciali internazionali.
Ciò che rappresenta una vera e propria sfida, è quella lingua che non distingue tra Cannabis ( ‘canapa indiana’ o ‘Chamba’) e canapa industriale in quello che è il Dangerous Drugs Act emanato dal Malawi, pur dando una chance operativa indicando che i derivati dalla cannabis potrebbero essere prodotti con una licenza, come ad esempio con la morfina, mentre potrebbero essere importati per i consumatori, come nel caso dei generi alimentari.
La procedura legislativa si sta comunque adattando, prendendo spunto dagli esempi europei e dal Canada. Nel frattempo sono stati avviati test per determinare i livelli di Thc e registrare quelli stabiliti in altre nazioni dove la filiera della canapa è stata regolamentata per legge.
Europa – Francia e Germania in prima fila, con la seconda che ha già ha ospitato la più grande conferenza di canapa industriale del mondo, la XIII Conferenza Internazionale della canapa a cura dell’European Industrial Hemp Association (EIHA), mentre ad aprile 2017 andrà in scena l’International Cannabis Business Conference, proprio a Berlino, evento internazionale, il primo B2B europeo sulla cannabis.
La produzione di canapa europea per il 2016 è stimata in oltre 24.282 ettari, con un aumento del 300% nell’arco di 5 anni.
In Italia si deve dare forma alla filiera della canapa e, per fortuna, la legge, la 242, è operativa dal 14 gennaio 2017. Le varie regioni italiane hanno iniziato ad adeguarsi con norme locali per armonizzarsi a quella nazionale, anche se già alcune si erano dotate di propri provvedimenti che hanno anticipato il Parlamento italiano per alcuni aspetti. Un passo tardivo per adeguarsi al mercato e alla legislazione sulla canapa industriale nel mondo, soprattutto per una nazione che prima della metà del 1900 era il secondo produttore mondiale.
Francia, Romania e Ungheria rimangono gli altri paesi di maggiore produzione europea di canapa industriale. Grande crescita della canapicoltura in Slovenia.
Australia – processo di crescita e regolamentazioni difficili. Sia le leggi federali sulla produzione di canapa che le norme dei singoli stati, a cominciare da quello del Victoria, iniziarono già dal 1998 a concedere licenze agli agricoltori. Questi ultimi hanno limitato le colture alla produzione di materiali in fibra e per l’edilizia, mentre la politica ha impedito l’accesso ai mercati alimentari dei trasformati a base di canapa, contrariamente a quanto avveniva in altre parti del mondo con la stessa vocazione della canapicoltura in piena espansione: oltre allo stato australiano di Victoria, anche il Queensland, la Tasmania e l’Australia Occidentale.
“Quello che stiamo producendo attualmente è solo di basso livello – sottolinearono nel 2014 da EcoFibre, noto produttore australiano – materiale per mercato a basso valore come coperte per animali domestici, lettiere per cavalli, prodotti per il contenimento della fuoriuscita di petrolio, pacciamante per giardini. Solo cose di base, mentre ci sarebbero un sacco di prodotti che potremmo arrivare a fare. L’industria è ostacolata”.
Nel 2016, ricercatori della Scuola di Scienza dei Materiali e Ingegneria presso l’Università del New South Wales hanno continuato a sperimentare l’utilizzo di fibre di canapa per i ricambi delle auto, prove già iniziate dal 2000. Un team guidato da Alan Crosky ha sviluppato materiali da fibre di canapa che hanno un più alto rapporto resistenza-peso rispetto all’acciaio. Stessa cosa dicasi per pannelli in fibra di canapa, con caratteristiche simili a quelli delle superfici in fibra di vetro.
Nel Territorio del Nord, il Dipartimento dell’Industria ha fatto partire il suo primo test di prova presso la stazione di ricerca Katherine. Il tutto è sostenuto da EcoFibre. Senior Research agronomo, il dottor Ian Biggs il quale ha indicato tre varietà di canapa industriale da sperimentare in tre impianti separati.
L’attuale legislazione del Territorio del Nord non permette la coltivazione commerciale di canapa industriale, ma il Dipartimento della Salute si sta muovendo per mutare la situazione.
Altra contraddizione è il divieto di uso alimentare per i prodotti della canapa sia in Australia sia in Nuova Zelanda, ma anche per questo aspetto sono in corso prove e studi. Il Food Standards Australia e Nuova Zelanda (FSANZ), ha consegnato le ultime osservazioni su una proposta riguardante semi di canapa a basso THC indirizzati al mercato alimentare.
Canada – Fa la parte del leone in Nord America. Dopo la legalizzazione commerciale della produzione di canapa nel 1998, l’industria canadese del settore ha continuato a espandersi. Le esportazioni di canapa nei primi quattro mesi del 2015 hanno fatto registrare un valore di 34 milioni di dollari rispetto ai 12 di tutto il 2011. Nel 2016 i milioni sono stati 45 per le esportazioni verso Asia e Corea del Sud.
L’industria della canapa canadese si è specializzata inizialmente sulla produzione per il settore alimentare, poi ha ampliato lo spettro per la produzione di fibre di canapa alternative a quelle di vetro, tessuti, l’isolamento ed edilizia. Il dipartimento dell’Agricoltura e dell’agroalimentare del Canada (AAFC) ha definito la canapa come “risorsa rinnovabile più importante del mondo”.
Stati Uniti d’America – il 23 agosto 2016 lo USDA, United States Department of Agriculture, ha annunciato che permetterà la certificazione delle colture di canapa coltivate nel rispetto della sezione 7606 del Farm Bill, primo passo positivo per riconoscere la canapa come coltura legittima. Un riconoscimento che però non ha ancora valore per gli agricoltori in stati come il Kentucky, il Tennessee e l’Oregon, mentre non è chiaro che effetto avrà sugli agricoltori del Colorado che operano sotto il permesso commerciale rilasciato dal Dipartimento statale dell’Agricoltura.
Continuando con la carrellata della Canapa industriale nel mondo, ecco altre nazioni dove la coltura è legale:
- Austria – ha un’industria della canapa, compresa la produzione di olio dai semi, e medicamenti;
- Danimarca – ha iniziato nel 1997 e si è impegnata ad utilizzare metodi biologici;
- Finlandia – ha avuto una rinascita della canapa (Hampu) a partire dal 1995 con una serie di piccoli appezzamenti di prova.
- Francia – già nel 1994 furono raccolte 10.000 tonnellate di prodotto e oggi è la principale fonte di semi di canapa (Chanvre) a basso THC;
- Gran Bretagna – divieto alla coltivazione della canapa sollevato nel 1993. Produzione di lettiere per animali, carta e tessuti sono consentiti. Un contributo pubblico è stato dato allo sviluppo di nuovi mercati per le fibre naturali e 1.620 ettari sono stati coltivati nel 1994. Sovvenzioni date dal governo;
- Ungheria – sta ricostruendo la sua industria della canapa (Kender) ed è uno dei più grandi esportatori di filo di canapa, tappeti e tessuti verso gli Stati Uniti. Esporta anche semi e carta di canapa;
- Giappone – ha una tradizione religiosa legata a questa pianta, tanto che l’imperatore deve indossare indumenti con tessuti ricavati da questa pianta, infatti è attivo un piccolo appezzamento mantenuto solo per la famiglia imperiale. Continuano a importare il prodotto per le stoffe e l’uso artistico;
- Paesi Bassi – in svolgimento uno studio per valutare e testare la canapa (Hennep) per la produzione di carta e lo sviluppo di apparecchiature per il trattamento. Selezionatori di sementi stanno sviluppando nuovi ceppi che abbiano valori bassi di THC;
- Polonia – attualmente si coltiva canapa (Konopij) per il tessuto e per produrre corde, oltre che per pannelli di particelle di canapa. Utilizzo anche per decontaminare terreni da metalli pesanti;
- Romania – è il più grande produttore commerciale di canapa (Cinepa) in Europa. Già nel 1993 la superficie utilizzata era pari a 16.200 ettari. Prodotto in parte esportato verso l’Ungheria per la lavorazione, oltre che verso l’Europa occidentale e gli Stati Uniti;
- Russia – mantiene la più grande collezione di germoplasma di canapa (Konoplya) nel mondo al N.I. Vavilov Scientific Research Institute of Plant Industry (VIR) a San Pietroburgo;
- Spagna – coltivazioni indirizzate alle esportazioni di canapa (Canamo) per la carta e la produzione di corda e tessuti;
- Svizzera – anche la nazione d’oltralpe è un produttore di canapa;
- Egitto, Corea, Portogallo, Thailandia e Ucraina: è concessa la canapicoltura.
(scritto con il contributo di Hemp Edification)
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