Marzo è mese di semina della canapa: oggi però bisogna prima avere le idee chiare
In un contesto globale che s’interroga su nuovi modelli di sviluppo più compatibili con la sostenibilità ambientale e sociale, Madre Natura potrebbe diventare la nostra prima alleata. Soprattutto riscoprendo piante millenarie, da sempre utilizzate in diversi continenti del mondo e che solo logiche miopi hanno accantonato. Parliamo della canapa, un tempo coltivazione di punta in Italia e di cui oggi perfino il seme è estinto.
“Da oltre 50 anni non si coltiva più. E, all’epoca, nessuno ha pensato di preservarne il seme per futuri utilizzi”, così ha osservato Enio Campiglia dell’Università degli Studi della Tuscia in occasione di un incontro-convegno dedicato alla canapa svoltosi il 17 marzo 2017 presso l’Aula Magna del Dipartimento di Chimica e Tecnologie del Farmaco dell’Università La Sapienza di Roma (cfr. precedente articolo).
Oggi in Italia, per quanto riguarda la produzione di materie prime ottenute dalla canapa, siamo ai minimi storici e siamo costretti a dipendere dalle importazioni dall’estero. Ci troviamo dunque nella condizione di dover ricostruire tutta una filiera da zero.
Il prof. Campiglia spiega quello che è possibile raccogliere da un campo di canapa industriale: da una parte infatti potremmo semplicemente raccogliere la parte aerea, cioè il fusto della pianta; oppure orientarci a raccoglierne i semi, le infiorescenze o infine le foglie.
Se in passato la produzione la coltivazione italiana forniva prevalentemente biomassa, in particolare fibra tessile, oggi il seme sta acquistando sempre più importanza nella filiera, anche in considerazione delle sue notevoli proprietà nutraceutiche. Per il fiore invece, l’uso prevalente e quello farmacologico (normative permettendo).
“Ma se il tema generale deve essere quello della sostenibilità – sottolinea il Professore – cioè include anche il reddito dell’impresa agricola, cioè la sua sostenibilità economica.” Un dettaglio non da poco, anche perché l’assenza di una semente italiana comporta tutta una serie di ricadute economicamente rilevanti per l’impresa di coltivazione.
Le sementi oggi disponibili provengono infatti da Francia, Paesi Bassi, Ungheria, Canada, Russia, Nord Europa in generale, cioè originano da climi completamente diversi da quello del bacino del Mediterraneo.
Il professor Campiglia mette subito in guardia gli agricoltori: se è vero infatti che il loro interesse nei confronti della canapa sta crescendo, sono molti gli aspetti che ancora non si conoscono perfettamente, e che possono inficiare il risultato di un investimento in questo settore.
“Non conosciamo ad esempio il fotoperiodo ideale per ogni singola varietà di canapa oggi disponibile. E neppure conosciamo esattamente la densità di semina che dovrebbe essere praticata. La nostra Penisola, inoltre, presenta tanti diversi microclimi, per i quali andrebbe di volta in volta individuata la cultivar più idonea”.
La ricerca condotta nel decennio 2007-2016 si è posta obiettivi coerenti con le future coltivazioni commerciali: l’adattamento ai diversi areali per esempio, la sperimentazione delle cultivar disponibili sul mercato (che tra l’altro oggi risultano molto più numerose rispetto a dieci anni fa). Si sono anche sperimentate diverse modalità di impianto e si è determinato il fabbisogno in termini di fertilizzanti.
L’esame dei risultati ottenuti indica chiaramente un’ampia variabilità dei risultati tra una cultivar di canapa e l’altra, soprattutto a seconda del diverso utilizzo che si intende ottenere: in linea generale, le varietà oggi disponibili, forse proprio perché adatte a climi più umidi, non hanno mostrato una grande resa in termini di produzione di biomassa, mentre le stesse sono risultate già più indicate nella produzione di semi. Quel che è certo è che non esiste la varietà di canapa ideale a tutti gli usi, a meno di eventuali miglioramenti genetici e di adattamenti al clima mediterraneo.
“Queste risultanze ci indicano chiaramente che, se decido di coltivare canapa, devo già avere molto ben chiaro in mente che cosa voglio ottenere esattamente. Altrimenti tanto vale non cominciare nemmeno a seminare”.
Contatti:
Prof. Enio Campiglia
+39 0761 357538
campigli@unitus.it
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