Il Crea-Cin di Rovigo, vicenda interminabile fra possibile chiusura e sopravvivenza… ma come?
Allarme rientrato sulla chiusura del Crea-Cin di Rovigo? Parrebbe di sì, ma la certezza in queste cose, soprattutto dietro scelte politico-amministrative, è la cosa meno scontata, anche dopo dichiarazioni che dovrebbero chiarire le vicende.
La struttura di ricerca è fra le storiche e più avanzate d’Italia e ha persino aiutato lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze a individuare e ad adoperare le cultivar di canapa più appropriate per avviare la produzione di cannabis terapeutica.
“Nessun taglio per la canapa polesana“ ha più recentemente annunciato il parlamentare Diego Crivellari che ha avuto la notizia da Maurizio Martina, ministro per le Politiche agricole e per bocca di Angelo Zucchi, capo della segreteria del ministro Martina.
Dal Dicastero non ci sarebbe più la volontà di chiudere l’impianto di Rovigo, un centro che è stato capace di fornire canapa per uso scientifico alle principali aziende nazionali.
La struttura esiste dal 1950, è divenuta un’eccellenza nel settore della genetica, nel miglioramento della barbabietola da zucchero, nella conservazione, moltiplicazione e selezione delle diverse varietà di canapa, protagonista nell’investimento sul Progetto Cannabis, costato oltre un milione di euro, nato dall’accordo tra ministero della Salute e ministero della Difesa per la produzione nazionale di derivati della canapa ad uso terapeutico nello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. In particolare, da quest’ultimo progetto sono stati stanziati su Rovigo 190.000 euro per produrre fino al 2018.
Gianpaolo Grassi, storico primo ricercatore del centro di Rovigo in via Amendola, nonché membro del Comitato scientifico di Federcanapa, ha già avuto modo di dichiarare che il Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria ha avviato una sua ristrutturazione: nel mirino sono 31 sedi e aziende nazionali. L’input del ministero nel contrarre le spese ha portato a una rotta di ridimensionamento.
Il dubbio espresso da Grassi era quindi sulle due possibili rotte che sarebbero state scelte e che avrebbero deciso il destino del centro ricerche di Rovigo: chiusura o accorpamento con la sede di Bologna?
Il tutto con difficoltà molto marcate anche nel caso fosse stato scelto l’accorpamento con il centro nel capoluogo dell’Emilia Romagna: la struttura di Rovigo, così indirizzata sulla canapa, possiede attualmente impianti che a Bologna non esistono. Anche la riorganizzazione operativa sarebbe complessa visto che il centro bolognese ha già due settori con rispettivi direttori, uno si occupa di Colture industriali, l’altro di Agronomia e Ambiente… complesso integrarvi la canapicoltura, oltretutto bisognerebbe spendere, proprio ora che si vuole ridurre i costi, duplicando a Bologna gli impianti di Rovigo.
Situazione contraddittoria sottolineata anche in un’intervista su AgroNotizie.
Scritto tutto questo, ancora non esiste certezza sul destino del centro di ricerche di Rovigo. Dichiarare che non chiuderà non basta. Bisogna capire se continueranno a essere erogati, come e in che misura, gli investimenti fortemente indirizzati verso la canapa e le sue possibilità-applicabilità.
Se, da un lato, si dà vita alla legge 242 sulla filiera della canapa e sulla sua promozione, dall’altra bisogna tenere viva l’attenzione sul settore e supportarne la ricerca sui possibili sviluppi senza contraddizioni e senza compromessi.
In caso contrario si correrà il rischio che l’Italia rimanga un Paese di piccoli canapicoltori frammentati, non organizzati, senza chiare politiche nazionale e regionali di indirizzo (che vanno oltre la compilazione di norme).
Non si può lasciare un comparto così promettente senza le scoperte di chi fa ricerca, le uniche capaci, assieme all’esperienza degli agricoltori, di dare valore alle cultivar più adatte, di dare il corretto peso all’individuazione territoriale delle vocazioni appartenenti a ogni varietà, di avviare a un ottimale sfruttamento secondo le latitudini e le condizioni ambientali.
Quella ricerca capace di disegnare anche un quadro ottimale di rete di imprese connesse a centri locali di prima lavorazione.
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