Rivoluzione Verde della cannabis rallentata dalle politiche internazionali sui narcotici che ne hanno impoverito il patrimonio genetico naturale
Interessante osservatorio sulla canapa è quello dell’Australia, Paese che è cerniera agricola fra realtà oceanico-asiatica ed europeo-americana. È bene riflettere su quanto scritto da un gruppo di ricercatori australiani già lo scorso anno: le politiche restrittive degli scorsi decenni, le convenzioni internazionali sui narcotici hanno rallentato la Rivoluzione Verde della cannabis impoverendo fortemente il patrimonio genetico della pianta oggi esistente condizionando l’istituzione, la caratterizzazione e l’uso delle varietà genetiche della cannabis stessa.
Questi ricercatori sono tutti della Southern Cross Plant Science, Southern Cross University, Lismore, NSW, Australia e di Ecofibre Industries Operations Pty Ltd, Maleny, QLD, Australia.
Si tratta di Matthew T. Welling, Tim Shapter, Terry J. Rose, Lei Liu, Rhia Stanger e Graham J. King.
Hanno fatto un attento studio (ricerca completa su Frontiers in Plant Science) sul patrimonio genetico di questa pianta che, per i suddetti condizionamenti, è stata fortemente impoverita limitando, quindi, la cosiddetta rivoluzione verde e le sue applicazioni benefiche che nulla hanno a che fare con la marijuana e l’utilizzo come stupefacente.
Come dire che insieme all’acqua ritenuta sporca s’è buttato via anche il bambino.
La cannabis, scrivono, è un genere prevalentemente dioico fenotipicamente diversificato, con poche ancora esistenti popolazioni naturali. Le restrizioni internazionali sui narcotici e le legislazioni associate hanno portato a una conseguenza importante, alla sottoutilizzazione della variabilità del patrimonio genetico nello sviluppo della cultivar e ha limitato l’inclusione di caratteri genetici secondari associati alle strategie di miglioramento genetico della Rivoluzione Verde.
Lo screening strutturato ex situ del germoplasma e lo sfruttamento dei tratti intraspecifici (di diverse varietà della stessa pianta) localmente adattati, dovrebbe facilitare il miglioramento genetico della cannabis. Tuttavia, sono stati fatti limitati tentativi per stabilire l’estensione delle risorse genetiche disponibili per fasi di pre-riproduzione/coltivazione.
“Presentiamo una approfondita revisione critica delle risorse genetiche ex situ di Cannabis – scrivono nella loro relazione – e confrontiamo le raccomandazioni per la conservazione, la caratterizzazione pre-coltura e l’analisi genetica che sosterrà il futuro sviluppo delle cultivar. Riteniamo che sia prioritaria la conservazione del germoplasma dell’Asia orientale che ha una preminenza basata sulla lunga tradizione storica riguardante la coltivazione della cannabis in questa regione, portata avanti su una vasta gamma di latitudini e ambientazioni, caratterizzata da apparenti elevati livelli di diversità genetica mentre, al contrario, è poco presente nella raccolta delle risorse genetiche già pubblicate“.
Sottolineano poi che “la crioconservazione del seme potrebbe migliorare la conservazione in toto riducendo l’ibridazione e la deriva genetica che può verificarsi durante la rigenerazione del germoplasma di Cannabis. Proponiamo l’istituzione di un nucleo-raccolta globale virtuale basato su un insieme di metadati e per gruppi coerenti secondo la provenienza oltre all’adozione di tecnologie di sequenziamento del DNA ad alto rendimento“.
Un sistema da utilizzare per la fenotipizzazione sistematica e per sostenere le strategie di coltivazione adatte al miglioramento genetico della cannabis.
Come raccontano i ricercatori, la canapa è stata coltivata in Eurasia per parecchie migliaia di anni. Da allora si è irradiata da questa regione ed è stata sottoposta a prolungate pressioni selettive umane in Africa, in Nord e Sud America, poi coltivata globalmente. “Le piante sono dioiche e obbligate all’esoincrocio, anche se alcune forme dedicate alla fibra sono monoiche. Tutto questo ha contribuito ad un elevato livello di ibridazione tra le popolazioni pre, post e de-addomesticate, quindi poche se si pensa che esistono delle popolazioni ‘selvagge’ intatte“.
Delineando il quadro storico attraverso una comparazione con altre colture, “la produttività è cresciuta dello 0,5/1 per cento annuo tra il 1960 e il 2000 per il frumento, il riso, il mais, il sorgo e il miglio. Una gran parte di questi aumenti è stata attribuita ai miglioramenti del germoplasma avviati dal Consultative Group on International Agricultural Research (CGIAR) che ha facilitato lo scambio di risorse genetiche, i trasferimenti adattivi e il flusso libero di materiali e conoscenze tra i gruppi di ricerca“.
“Tuttavia, il miglioramento genetico dei diversi tipi di colture non è stato distribuito uniformemente – rimarcano – Nell’ultima parte del ventesimo secolo le colture di cannabis che sono state permesse e legittimate, riunite sotto l’etichetta di canapa industriale, non solo non hanno beneficiato dei progressi delle tecnologie di coltivazione e dell’utilizzo delle risorse genetiche, ma hanno anche subito perdite significative nella conservazione ex situ, con probabile significativa erosione genetica, come è già stato documentato dalla perdita di varietà selvatiche di riso in Cina“.
Colpevole di questa situazione che ha impoverito e limitato le possibilità e le varietà genetiche della stessa canapa industriale, sottolinea la ricerca, è stato lo status della cannabis come fonte di una delle droghe illecite più diffuse.
Negli ultimi anni è accresciuta nell’opinione pubblica la consapevolezza che la cannabis ha comprovate applicazioni terapeutiche, una nuova situazione che è stata particolarmente importante in diversi Stati degli Usa, in Australia, Canada, Israele e Uruguay, fino ad allargarsi in Europa.
Questa crescente tolleranza pubblica verso la cannabis “ha portato a una serie di riforme politiche e legali che hanno avuto due effetti: un rinnovata e crescente domanda di cannabis da parte dei consumatori e una maggiore richiesta ai coltivatori nello sviluppare varietà per specifiche applicazioni finali. Il deterioramento nella conservazione delle risorse genetiche della canapa industriale non collima con la funzionalità intrinseca e con il valore agricolo della specie. Le lunghe fibre pericicliche (quelle più esterne) e con tessuto cribroso (per il trasporto della linfa) dello stelo hanno una elevata resistenza alla trazione, utilizzate da secoli per fabbricare corde e per altri scopi adatti a queste proprietà“.
Utilizzati anche nell’industria tessile e cartacea – sottolinea la ricerca australiana in questa ‘retrospettiva’ industriale – così come nelle termoplastiche a matrice di fibre per la produzione di automobili. Il nucleo ligneo o canapulo all’interno dello xilema, la parte legnosa con il tessuto vascolare che serve al trasporto dell’acqua e delle sostanze in essa disciolte (comprende fino al 70% della biomassa di gambo), ha trovato per esempio un ottimo utilizzo nel dare forma a materiale da costruzione composito leggero (calcestruzzo da canapa, mattoni canapa-calce), ma anche come materiale per pacciamatura adatto a giardini e terreni o lettiere per animali.
I semi per consumo umano e animale, da cui olio e farine con proprietà organolettiche e nutraceutiche veramente uniche. Anche le ultime sperimentazioni come il bioetanolo cellulosico che può essere estratto dalla biomassa vegetale e utilizzato come biocarburante o nanocristalli di cellulosa generati da fibre di bassa qualità per lo sviluppo di nanocompositi ad alte prestazioni, mentre i nanosheet in grafite a strati molecolari (sorta di superconduttori e accumulatori di energia microscopici) possono essere realizzati utilizzando rifiuti vegetali e scarti della lavorazione industriale della canapa ottenendo elementi con proprietà da supercondensatori (da leggere cliccando qui) a base ionica-liquida.
“I composti fenolici N-trans-caffeoyltyramine e cannabisina B, nonché cannflavini A e B e prenylflavonoidi antiinfiammatori che si trovano nei gusci e nei germogli dei semi, possono avere potenziali applicazioni nutraceutiche. In più le piante di cannabis producono un gruppo di fitocannabinoidi terpenopenolici farmacologicamente attivi. Questi composti stanno attualmente alimentando un’industria farmaceutica emergente a base di cannabinoidi con estratti botanici che vengono somministrati in modo sicuro ed efficiente“.
Altri composti terpenoidi che sono presenti ad elevate concentrazioni nella cannabis possono avere applicazioni farmacologiche, oppure hanno le loro specifiche applicazioni medicinali, come l’α-humulene che ha proprietà antifungine potenzialmente utili nel trattamento della Criptococcosi (ndR: o debariomicosi, micosi polmonare dell’uomo e degli animali provocata da Cryptococcus neoformans, fatale se non tempestivamente curata).
“Il tradizionale e ancora prevalentemente approccio di successo per il miglioramento genetico delle piante coltivate, va avanti sfruttando naturalmente la diversità genetica. La valorizzazione della diversità genetica può essere raggiunta attraverso l’ibridazione di materiale di riproduzione di alta qualità con germoplasma esotico (da varietà presenti in natura e non ‘addomesticate’ nelle colture umane), qui definita come una risorsa genetica che non è stata artificialmente soggetta ad un elevato livello di selezione per ottenere una caratteristica mirata o ambiente di coltura“.
“Fino a oggi è stata sottoutilizzata la caratterizzazione esplicita delle risorse genetiche di cannabis come fase chiave nello sviluppo della cultivar – sottolineano gli studiosi degli istituti australiani – e sarà necessario un uso più sofisticato del germoplasma intraspecifico (di diverse varietà della stessa pianta) per promuovere linee di coltivazioni di alta qualità per soddisfare le esigenze del mercato e per una vasta gamma di ambienti di coltura in tutto il mondo”.
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