Hemp Farm Lab come declinazione multipla della canapa, coltivazione innovativa e uso delle infiorescenze in tanti futuri progetti
Si fa presto a dire fiore quando si parla di canapa, oggi si pensa alle confezioni che tutti vogliono vendere, ma c’è chi sta progettando cose interessanti partendo dalla pura commercializzazione di oggi. Ed ecco Hemp Farm Lab come declinazione multipla della canapa, base ad Afragola (Napoli), ma anche tanto altro.
Tecniche innovative di coltivazione da applicare già dalla prossima stagione, rete di imprese da attuare a brevissimo, il fiore per ottenere anche altre tipologie di prodotto e… una possibile, grande novità anche per la lavorazione delle bacchette della pianta.
Tanta carne al fuoco, una realtà complessa tutta da raccontare proprio per le molte sfaccettature tra lavoro attualmente in campo e prospettive sia prossime che più lontane.
A parlarne è Valentina Capone, già conosciuta nell’ambito della Fiera Internazionale Canapa in Mostra e, ancora prima, a una manifestazione di Canapa Campana, cooperativa agricola che l’ha vista tra i fondatori
Valentina in questo caso fa parte di una giovane squadra molto affiatata, quella di Hemp Farm Lab (pagina Facebook). Con lei, Rosa Borrelli, architetto come un altro componente, Antonio Capone, poi l’esperto agronomo e di nuove tecniche Gian Maria Baldi e infine Domenico Schiavone.
Canapa Oggi – Prima cosa da fare è quella di dare una prima pennellata al quadro di parole che devono descrivere Hemp Farm Lab.
Valentina Capone – “Hemp Farm Lab è una società agricola formata nel 2015, team composto da giovani, compresi due architetti che si prestano all’agricoltura nella speranza di poter poi iniziare a lavorare le bacchette per la bioedilizia e, quindi, sfruttare la loro professionalità in pieno. Due anni fa iniziammo con varietà di Canapa Sativa monoica, la Uso 31, a scopo principale per l’alimentare. Da quest’anno abbiamo scelto varietà dioiche, specialmente Eletta Campana e Fibranova, per specializzarci su produzione del fiore, adottare tecniche agronomiche particolari e specifiche, di rilievo, più costose è vero, ma capaci di dare maggiori di risultati, anche in termini di dati, di informazioni, oltre che permettere di ampliare termini di paragone e confronto”.
CO – Tecniche agronomiche diverse, quindi diversificare la conduzione in campo fin dall’inizio?
VC – “Si, proprio fin dall’inizio. Col trapianto delle piantine siamo riusciti a comprendere molte criticità delle genetiche e le loro potenzialità. Il tutto lavorando con meno piante di canapa per ettaro esaltando l’aspetto del controllo. Perché? Basta un esempio da descrivere in poche parole. Considerando la tipologia di coltivazione per granella, quindi l’utilizzo di circa 40 chili di seminativo per ettaro, si ottiene circa un milione di piante. Quando si manifestano problemi, attacchi parassitari o altro, si perderà qualche migliaio di piante: in casi del genere si riescono ad analizzare molto meno le problematiche essendo un danno marginale rispetto all’intero patrimonio di piante presenti sul campo”.
CO – Quindi il vostro processo di gestione sul terreno differisce in modo radicale e permette di evidenziare reazioni, comportamenti, caratteristiche delle piante e attacchi subiti?
VC – “Nel nostro caso siamo partiti dal vivaio non andando a semina, ma a trapianto. Ci siamo accorti sempre più che la genetica dei semi presenti in commercio oggi è piuttosto scadente: la germinabilità parte dal 30 per cento e arriva, se va bene, al 40 per cento massimo. Molto bassa. Abbiamo messo le piante con una trapiantatrice, non a mano, abbiamo lavorato inizialmente su 60.000 unità a ettaro. Dovevamo raddoppiare il quantitativo: per ottenere un fiore selezionato, non impollinato e conoscendo che una parte sarebbero state piante maschio da individuare, abbiamo optato per questa scelta. Le 60.000 si sono quindi ridotte a 30.000. Il numero ridotto di piante ci ha permesso di monitorarle la situazione al meglio. La non eccellenza delle genetiche ci ha fatto notare, per esempio, la non resistenza di quelle piante ad attacchi da parte di funghi terricoli, manifestatisi in uno dei campi. Grazie a Gian Maria Baldi, il nostro agronomo, ha individuato da cosa dipendeva la perdita e quindi ha rintracciato l’antagonista, un altro fungo. Il nostro approccio è Bio come in ogni fase della lavorazione, anche se non siamo ancora certificati, ma è prossima la presentazione della pratica”.
CO – Avete fatto scelte precise, mirate e altre ne farete. Altri cambiamenti? State calamitando interesse?
VC – “Tendenzialmente facciamo agricoltura con un approccio innovativo adottando e accostando alla canapa anche tecniche e metodologie utilizzate già per altre colture. Con la stessa canapa cerchiamo di garantire la biodiversità del territorio. Abbiamo così risvegliato la curiosità, suscitato l’interesse e il desiderio di diversi altri produttori che vorrebbero iniziare anche loro con la canapa impegnando loro ettari per la canapicoltura a produzione fiore. Per fine anno vorremmo costituire una rete che ci consenta di coinvolgere quindi altri soggetti sì per il fiore, ma per una lavorazione indoor e non più a pieno campo”.
CO – Ecco il punto. Trasferimento della coltivazione in ambiente controllato.
VC – “Abbiamo già due progetti con due aziende agricole i partenariato con noi: da una parte una serra da un ettaro, alta due metri e mezzo con doppia falda e fotovoltaico; con un’altra che generalmente fa produzione di fiori, non di canapa, inizieremo con la tecnica idroponica per la canapa. Stiamo quindi portando avanti tutta l’attività verso la specializzazione fiore, abbiamo ottenuto moltissimi dati nelle nostre prime fasi in campo aperto ottenendo oltretutto alta gratificazione e alto gradimento sulla qualità del nostro prodotto. Adesso inizieremo con le nuove fasi di produzione, quelle che ho poco prima anticipato. Dalla prossima annata si andrà quindi in serra”.
CO – Volendo quantificare la vostra capacità produttiva in questa stagione 2017?
VC – “Il nostro lavoro lo abbiamo fatto fino a oggi su un ettaro e mezzo in pieno campo. Siamo contenti ed entusiasti sulla qualità raggiunta. Su 3.000 metri, la media del prodotto secco ottenuto è pari a circa 50 chili. Ora abbiamo altri 12.000 metri da dove stiamo elaborando il prodotto. Alla fine, come media, da un ettaro dovremmo ottenere almeno 150 chili di prodotto secco. Avremo in seguito il dato definitivo. Per l’immediato futuro e come impostazione della rete di aziende, i produttori che si accomuneranno a noi dovranno seguire un nostro regolamento interno, una sorta di disciplinare, per gestire tutte le variabili garantendo la qualità che intendiamo ottenere da un prodotto finale che ci rappresenti tutti”.
CO – Fiore sì, ma questo prodotto si presume andrà oltre vista anche la cura che state mettendo. Che ci farete? Che progetti state seguendo e vorrete realizzare?
VC – “Oltre che lavorare al fiore, stiamo operando per l’insediamento di un polo in regione utile a lavorare e trasformare le bacchette che oggi rimangono inutilmente come scarto in quasi tutta italia. Invece potrebbero essere valorizzate. L’intento è ottenere dalla bacchetta tre output diversi, fibra tecnica, canapulo e quanto altro di utile, per esempio, nella bioedilizia. La rete-polo comune dovrà servire a questo, con produttori che conferiranno quello che in quel momento dovrà essere considerato un ex scarto e fonte di reddito.
CO – Un impianto di trasformazione. Quindi dove, se c’è già un’ipotesi? Con quali caratteristiche?
VC – “Tutta questa azione dovrebbe portare in Campania un tipo di impianto innovativo per la lavorazione delle bacchette grazie a un partner tecnologico. Una struttura dotata di una tecnologia del tutto diversa da quanto si trova in Europa. Il partner è italiano, ma la parte tecnica, di processo, è un’idea che giunge al di fuori del Vecchio Continente”.
CO – Come vi muovete nell’ambito del settore. Il primo, urgente bisogno della canapicoltura italiana?
VC – “Al Salone Internazionale della Canapa di Milano saremo presenti come visitatori e anche per stringere contatti nel capoluogo milanese. Fra gli interessi principali il reperimento diretto delle sementi augurandomi di trovare, per esempio, una cooperativa francese dei semi o altri produttori in modo da svincolarci dai vari mediatori, li chiamo così, presenti sul territorio. Mi risulta paradossale in un’economia reale, in un’attività che dovrebbe essere come le altre, dover andare un un gruppo Wapp o Facebook per trovare e prenotare del seme”.
CO – E oltre alla problematica del reperimento sementi?
VC – “Come azienda agricola vorrei un ente unico da contattare, una realtà univoca della filiera. Il settore è poco regolamentato, gli enti di ricerca e le istituzioni dovrebbero dare una spinta vera e decisa per strutturare il comparto e garantire a noi produttori di lavorare come si deve come accade in altri settori dell’agricoltura e non solo. Tante associazioni e persone parlano di filiera, ma prima di ogni passo bisogna partire da un’analisi seria e attenta delle criticità di settore, mettere a punto una serie di strumenti. Per esempio, io come azienda non posso agire sulla genetica del seme, forse dopo una trafila burocratica abnorme. Meglio avere un ente preposto e autorizzato in questo senso che agirebbe con maggiore velocità e minore complessità”.
CO – Altro vostro fronte di lavoro con la canapa?
VC – “Richiesta per collaborazione e consulenza all’Università di Salerno, dipartimento di Farmacia e al professore De Feo, dopo valutazione del fiore: col docente vogliamo sviluppare un lavoro comune in modo da individuare la migliore varietà per la produzione di fiore finalizzato alle migliori estrazioni di oli essenziali e cannabinoidi. Ci potremmo strutturare con un impianto di estrazione proprio in azienda agricola grazie al supporto accademico. Avere quindi l’accreditamento per fare questo tipo di lavorazione in modo da interfacciarci con realtà industriali, farmaceutiche, parafarmaceutiche, cosmetiche e di settori affini. Quindi, interessarsi alla produzione di materia prima per le più svariate applicazioni, compresi gli integratori alimentari. E dico ancora pochissimo. Il fiore è anche questo e sarà tantissimo altro. Da qui si comprende ancora meglio l’attenzione maniacale e lo sforzo che mettiamo per la realizzazione di un prodotto d’alta qualità”.
Hemp Farm Lab
Corso Garibaldi, 38
Afragola (Napoli)
telefono/fax: 081.8513482
Valentina Capone: +39.3345776312
Rosa Borrelli: +39.3891858045
e-mail: hempfarmlab@gmail.com
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