Confagricoltura e Canapa, enormi potenzialità ma devono essere definiti strumenti e date certezze
“Canapa industriale: storia, opportunità e criticità attuali, prospettive future” è il titolo-programma dell’appuntamento romano che ha segnato il nuovo punto d’incontro tra Confagricoltura e Canapa. Tutto è avvenuto a Roma il 25 luglio 2018 a Palazzo Della Valle su corso Vittorio Emanuele II, sede della Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana.
L’evento, moderato da Greta Mauro, conduttrice di Matrix, ha consentito di fare nuovamente il punto anche sul disciplinare di produzione ad adesione volontaria che Confagricoltura ha definito insieme a Federcanapa e a Cia-agricoltori italiani (i principali interlocutori) circoscrivendo metodi che coprono molti aspetti della filiera, dai campi alla trasformazione e commercializzazione inserendo a pieno titolo il capitolo infiorescenze.
Disciplinare che è appena stato registrato.
Stato della situazione del settore Canapa e partecipanti all’evento di Confagricoltura
Nelle grandi potenzialità della filiera della Canapa, nelle innumerevoli prospettive a cominciare dal settore agricolo, oggi rimangono lati oscuri profondi, la mancanza di meccanizzazione adatta per la raccolta e lavorazione, l’esiguo patrimonio di sementi italiane e sua produzione, fattore che porta a una forte dipendenza dall’estero.
In più, tra gli altri aspetti, si è rimasti impantanati sulla mancata definizione (in fortissimo ritardo) dei limiti di THC, unico elemento psicotropo della pianta, negli alimenti da Canapa oltre a mancare una regolamentazione chiara per le infiorescenze.
Per non parlare dell’ancora mancato inserimento come fattore nutraceutico del CBD Cannabidiolo, prezioso per le sue tante proprietà.
Senza considerare l’ormai necessaria estensione della produzione di Canapa terapeutica andando oltre all’apporto dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e all’importazione: la materia prima è del tutto insufficiente ai bisogni italiani, fattore che porta ad un’altra forte dipendenza dall’estero. Al contrario, lo sviluppo di Cannabis terapeutica tutta Made in Italy, magari inserita anche nel capitolo farmaci, porterebbe grandi introiti ai coltivatori e ai laboratori italiani senza regalare nulla ad altre nazioni.
Tra i relatori, Giampaolo Grassi del Crea, Massimo Borrelli, FNP Bioeconomia, Confagricoltura, Roberta Papili di Confagricoltura (responsabile Clima & Energia) che è entrata nel vivo del disciplinare.
Con loro l’avvocato Giacomo Bulleri che ha coordinato la definizione del disciplinare definendolo come un “punto di arrivo e anche di partenza con funzione di garanzia sulle prescrizioni di legge colmandone le lacune, standardizzando le procedure, così da dare certezze a chi vuole investire in questa coltura”.
Inoltre, anche Beppe Croce presidente di Federcanapa, che ha posto l’accento (rivolgendosi al Crea) sulla liberalizzazione delle concessioni riguardanti le sementi, oggi in esclusiva, in modo da dare vita a una filiera italiana completa e ridurre la forte dipendenza dall’estero.
A seguire, Ivan Nardone del Cia-agricoltori italiani, Pietro Gasparri, dirigente di Sviluppo imprese e cooperazione del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, che ha proposto un tavolo di filiera con la partecipazione anche degli altri ministeri coinvolti, il mondo della ricerca, i rappresentanti dei produttori e di tutte le categorie che fanno capo al settore.
Intervenuti anche l’onorevole Filippo Gallinella, presidente della Commissione Agricoltura della Camera e l’onorevole Giuditta Pini della Commissione Affari sociali di Montecitorio.
In sala erano presenti anche Davide Galvagno e Andrea Spurio, rispettivamente presidente e direttore dell’Associazione Canapa Sativa Italia. E ancora, Luca Marola di Canapaio Ducale-EasyJoint. Questo solo per nominarne alcuni tra i tantissimi che hanno affollato la Sala Serpieri del Palazzo Della Valle.
Confagricoltura e Canapa: Pallini e Giansanti
“Il nuovo e crescente interesse per questa coltura – ha detto Diana Theodoli Pallini, Cavaliere del Lavoro, componente della giunta nazionale di Confagricoltura, specializzata in innovazione – è dovuto fondamentalmente a tre motivi: grande potenzialità, a livello internazionale, delle fibre naturali, sia per l’impiego tessile, sia per gli impieghi alternativi della fibra tecnica come bioedilizia, materiali compositi, componentistica per auto, cellulosa, ecc”.
“Si prevede, infatti, che la domanda mondiale di fibre passi dagli attuali 50 milioni di tonnellate ai 130 milioni di tonnellate nel 2050, conseguentemente al raddoppio della popolazione – ha proseguito la Pallini – La richiesta di alimenti alternativi, caratterizzate da proprietà salutistiche che possano fornire sostanze ad alto valore biologico. La crescente sensibilità per le problematiche ambientali e quindi l’aumento della domanda di risorse rinnovabili: piante erbacee da fibra in sostituzione di piante legnose o di altre colture erbacee richiedenti elevati input energetici in termini di diserbo chimico, concimazioni, fitofarmaci”.
“Nel passato in Italia si contavano 110.000 ettari a Canapa, esclusivamente per la produzione di fibra. Poi il crollo – ha rimarcato – In questi anni il ritorno. Dal 2014 in cui esistevano 2.000 ettari, si è passati all’oggi con circa 5.000 ettari. Però occorre chiarezza e servono strumenti per cogliere questa grande opportunità”.
“Vogliamo che i nostri agricoltori possano lavorare in maniera più serena e redditizia. Molti gli sviluppi possibili legati alla Canapa, in bioedilizia, cosmesi e tessile innovativo, solo per fare alcuni esempi – ha concluso Diana Theodoli Pallini – Dobbiamo guardare alle opportunità e dare strumenti migliori a cominciare dal trattamento delle colture. Novità normative molto interessanti in questi ultimi due anni, fondamentale la legge 242 del 2016, ma chiediamo maggiore chiarezza. Le associazioni hanno preparato percorsi che saranno certificati. Infine, il discorso del ministro della Salute è stato peculiare per la necessità di prodotto cannabis terapeutica italiana: l’importazione è aumentata del 50 per cento. Ma non sarebbe meglio valorizzare i nostri agricoltori su questo prodotto innovativo?”.
Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, ha evidenziato come si debba moltiplicare e stimolare la ricerca, sia pubblica che privata, dedicata alla Canapa: “Dobbiamo lavorare su nuove varietà di canapa maggiormente rispondenti alle nuove esigenze industriali e di mercato e, in funzione delle nuove varietà, devono essere anche valutate le tecniche agronomiche più adatte ed affinate le macchine per la raccolta in relazione ai diversi impieghi. Per uno sviluppo equilibrato e dalle basi solide occorre, inoltre, integrare i diversi segmenti produttivi in distretti di bioeconomia agricola attraverso l’aggregazione degli agricoltori, dei fornitori di servizi, dell’agroalimentare e dell’agroindustria”.
La parola ai produttori nel confronto di Confagricoltura e Canapa
Giovanni Gioia e Claudio Previatello, giovani imprenditori del settore con storie molto diverse alle spalle, accomunati dalla coltura della Canapa.
Giovanni, contitolare di Kibbò (pagina Facebook) marchio dell’Azienda Agricola Gioia a conduzione familiare, in Contrada Chibbò a Petralia Sottana (Palermo), impresa che fa capo a una realtà produttiva storica siciliana, esistente da oltre un secolo, che è andata dalle vigne come fornitori d’uva per Tasca d’Almerita fino a trasformare e ad adottare diversificazioni, numerose, dal cerealicolo alla Canapa.
“Punto forte e d’origine dell’azienda è proprio il cerealicolo, in forte crisi da tempo – ha raccontato Giovanni Gioia – tanto che iniziammo a cercare colture di rotazione più redditizie. La Canapa rientrava perfettamente nella tipologia da noi cercata. Scegliemmo varietà per la produzione di seme”.
“Quel che oggi serve con urgenza è la ricerca che porti a varietà più spinte e dedicate al Sud Italia – ha affermato Giovanni – Su questo fronte, vitale per il nostro settore, c’è ancora molto da fare: non ci sono varietà adatte al clima e alle caratteristiche di luce tipiche delle nostre terre, genetiche capaci di sfruttare queste peculiarità. Manca poi in maniera cronica la meccanizzazione adatta alla canapicoltura. Alle istituzioni non chiediamo sussidi, ma la facilitazione all’investimento: non desideriamo soldi pubblici, ne mettiamo dei nostri”.
Claudio Previatello, titolare di Al Capiteo azienda agricola (pagina Facebook) e florovivaistica di Grignano Polesine (Rovigo), piante da giardino, da orto e da frutto, fiori in vaso e recisi, frutta e ortaggi biologici di stagione.
“L’azienda è nata con specializzazione florovivaistica, poi è arrivata la crisi del settore. Da quel momento la spinta forte verso la diversificazione – ha detto Claudio – che ha portato alla conquista di diversi premi come il più recente, di quest’anno, per un innovativo sistema di irrigazione delle fragole”.
“Un anno fa l’incontro con Giampaolo Grassi del Crea – ha proseguito Previatello – quindi l’inizio della diversificazione anche con la canapa che abbiamo alato da subito. Gli ostacoli sono più che altro burocratici e poi sulle infiorescenze per il settore florovivaistico: quelle da canapa possono mai essere diverse da una rosa? Non credo”.
“La nostra richiesta più pressante? – ha concluso Claudio – Non si tratta solo di essere ascoltati dalle istituzioni a qualsiasi livello. Vogliamo leggi che non debbano essere interpretate, ma che siano chiare, limpide, univoche”.
L’esperienza e la solidità dopo anni di lavoro: il caso di Salute Sativa a Confagricoltura e Canapa
“Anche se il settore è in fortissima espansione – ha sottolineato Ornella Palladino, presidente di Salute Sativa – sono troppe le difficoltà che ostacolano gli investimenti su questa coltura, nonostante le opportunità imprenditoriali che è capace di offrire. La causa sono leggi lacunose che determinano ‘zone grigie’. Lacune e incertezze frenano lo sviluppo”.
Parole chiare e di esordio di un’imprenditrice che è stata capace, insieme a Davide Galvagno, vicepresidente di Salute Sativa, di dare vita a una cooperativa di successo con nodo centrale in Piemonte, la prima a fare Canapa. Oggi, assieme agli associati, gestisce terreni in canapicoltura su ben 500 ettari. Molto lavoro, sempre duro e impegnativo… ma chi l’ha dura la vince. Certo, non guasterebbe poter lavorare in un settore normato con chiarezza. Lo sviluppo e il successo sarebbero assicurati a tutti i seri agricoltori e imprenditori.
“Abbiamo acquistato le nostre macchine, le abbiamo modificate, fatto messe a punto particolari per la lavorazione del seme – ha raccontato Ornella Palladino – Questo il nostro ciclo agricolo completo, dalla pianta al seme fino alle farine, olio e prodotti correlati”.
“Adesso si entra nel vivo della situazione, siamo contenti della nostra scelta, abbiamo raggiunto ottimi traguardi – ha aggiunto la presidente di Salute Sativa – continuiamo su questa rotta, ma come tutti abbiamo bisogno di certezze: si può sbagliare, ma non ci si può permettere di farlo troppe volte. Siamo dentro la Canapa che per noi è la Canapa industriale. Il resto è fuori dai nostri interessi”.
“Se l’unica discriminante è il THC, unica sostanza psicotropa della Canapa – ha sottolineato la Palladino – se la magistratura ha deciso che la sua concentrazione dopante è oltre lo 0,5 per cento, se la Canapa industriale resta abbondantemente sotto questo livello, facciamo fatica a capire, a due anni di validità della legge 242, alcuni perduranti atteggiamenti di sospetto. Il nostro lavoro deve avere piena dignità e deve essere rispettato, non ha nulla a che vedere con l’illegalità. Dobbiamo assolutamente avere il coraggio di sdoganare la coltivazione della canapa a 360 gradi e avere il coraggio di parlare a tutti i livelli, dal verduriere, dal negozio fino ai ministeri, di infiorescenze che sono il risultato di parte del mondo totalmente legale della canapa”.
“Ma siamo realmente in Europa? Ricordo un documento dell’Unione Europea che sono riuscita a trovare – ha rimarcato Ornella Palladino – Documento europeo di vent’anni fa emanato dopo apposita domanda che fu rivolta nel febbraio 1998 alla Commissione Europea: ‘Posso sostituire il luppolo con le infiorescenze della Canapa per fare la birra?‘. L’organismo dell’Unione rispose di sì, perché sostituendo il luppolo con l’infiorescenza, quest’ultima in questo caso è da considerare come ingrediente alimentare, non come additivo. In più la commissione aggiunse che tutti gli alimenti che includono parti di piante sono inclusi nel regolamento 258 del 1997, quello del novel food. Quindi l’Europa nel 1998 aveva già etichettato le infiorescenze e parti della Canapa come ingrediente alimentare e alimento”.
“Quindi, se è Canapa industriale, con limiti di THC abbondantemente al di sotto di quanto stabilito come concentrazione massima, anche per le infiorescenze bisogna fare un passo avanti – ha concluso l’imprenditrice – Perché, in queste condizioni, il coltivatore della Canapa non può decidere di commercializzare la sua produzione in tutti i modi in cui il mercato lo richiede? Perché, se siamo molto al di sotto del limite stabilito e nell’ambito di legge, limitarsi solo ai semi? Come si fa a costruire un mercato se mancano le basi? Il mercato si costruisce sulle certezze e su queste stesse si basano gli investimenti“.
Confagricoltura e Canapa: ricerca, sistemi di sicurezza, patrimonio di semi italiani secondo Grassi
Di primo livello il lavoro del Crea, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. In special modo il lavoro di Giampaolo Grassi, direttore del Cra di Rovigo che è stato il selezionatore delle piante impiegate dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze per la produzione di Cannabis terapeutica.
“Occorre aumentare la ricerca nel settore della canapa, in particolare per l’individuazione di nuove varietà di piante con caratteristiche diverse da quelle attualmente esistenti e depositate in catalogo – ha detto Grassi – C’è l’esigenza di definire e ammettere determinati impieghi dei derivati della pianta di canapa. Oltre al disciplinare di produzione delle infiorescenze di canapa, va definito un protocollo o un marchio a cui corrisponda anche uno strumento efficace e autorevole di certificazione e analisi dei derivati, in modo da offrire al consumatore corrette informazioni e la certezza di trovare sul mercato prodotti controllati e sicuri”.
Nei grafici riguardanti l’estensione delle colture in Europa è emersa la costanza dei terreni francesi (in quella nazione non si è mai smesso di fare canapa) e l’emersione più recente di altri paesi, tra questi l’Italia.
Differenziazione tra piante monoiche, dioiche, indirizzate a produzione prevalente di fibra o seme, più recentemente per produrre cannabis terapeutica o da fiore, tutto nel ricco portafogli del Crea. “All’inizio cominciammo a raccogliere il più ampio repertorio di varietà e siamo riusciti a raggrupparne circa 300 – ha raccontato Grassi – Questo ci permette di raffrontare e scegliere caratteristiche per arrivare a selezionare varietà più performanti”.
Il punto della Cannabis terapeutica riveste un’importanza di enorme livello. Per le patologie oggi trattabili, esistono oggi oltre 33 milioni di italiani che potrebbero trovarne giovamento. Dall’insonnia all’asma, dalle terapie del dolore in casi di tumore alla sclerosi multipla, dall’epilessia al Parkinson, dalla colite e malattia di Crohn alle terapie per malati di Aids. Per non parlare del fronte che vede l’uso terapeutico del solo CBD Cannabidiolo.
“Considerando il prezzo imposto di 9 euro per grammo e immaginando trattamenti attivi per solo l’uno per cento di quei 33 milioni, si possono immaginare la quantità necessaria e il relativo volume d’affari – ha sottolineato Grassi – Con una media di un grammo al giorno, per un intero anno servirebbero circa 120 tonnellate per un totale di circa un miliardo di euro. Allora perché lasciare limitata la produzione allo stabilimento militare di Firenze che non potrà mai fronteggiare il fabbisogno avendo anche altro lavoro da compiere? Perché dipendere dalle importazioni dall’Olanda e altre nazioni e non attivare l’eccellenza italiana creando un forte volano economico? Tutto sempre sotto i necessari e dovuti forti controlli”.
Confagricoltura e Canapa: il disciplinare
A dare una panoramica sulle linee guida che hanno definito il disciplinare volontario (adesione volontaria da parte dei canapicoltori) sulla produzione della Canapa voluto da Confagricoltura, Federcanapa e Cia, è stata Roberta Papili di Confagricoltura, responsabile Clima & Energia.
“Il quadro di partenza è quello della Canapa industriale con gli espressi limiti di THC, della stabilita libera coltivazione destinata a determinati utilizzi, possibile da determinate varietà certificate e non altre – ha riassunto la dottoressa Papili – Come da ultimi chiarimenti del ministero delle Politiche agricole, le infiorescenze, pur non espressamente indicate nella legge, sono state inquadrate nel florovivaismo. Sulla base di tutto questo abbiamo quindi fatto delle riflessioni, approfondimento sulle opportunità e prospettive del settore e abbiamo inquadrato le necessità cui dare soddisfazione e risposte grazie al disciplinare”.
“La Canapa sta portando in agricoltura nuovi imprenditori, giovani imprenditori – ha descritto la Papili – È un elemento molto importante. C’è un ulteriore elemento di forte diversificazione dell’attività proprio per le tante possibili rotte di prodotto che si traduce anche in manodopera specializzata, per esempio nel gestire le fasi molto complesse di gestione delle infiorescenze, dalla coltivazione fino a trasformazione, conservazione e commercializzazione. Fare canapa significa fare ambiente e fare territorio, è una coltura con peculiarità in termini di sostenibilità e riportare alcune attività della tradizione oltre a fare industria”.
“Questo disciplinare definisce le buone pratiche di produzione e gestione della filiera – ha aggiunto la responsabile di Clima & Energia di Confagricoltura – partendo dal seme, dalle aree di produzione, dalla gestione del suolo e dall’irrigazione fino al prodotto finale che sarà tutelato da un marchio che stiamo definendo. Bisogna coinvolgere il sistema dei controlli, il mondo agricolo è aperto al confronto, non abbiamo timori, chiediamo più comunicazione con le forze dell’ordine”.
Il metodo definito dal documento tende a garantire la tracciabilità delle genetiche utilizzate nella canapicoltura italiana, la salubrità del prodotto per i consumatori. Il disciplinare intende facilitare l’operatività dei produttori, dare garanzie sul prodotto. Sono nove i suoi punti principali e può essere preso a modello per fare da base alla definizione di nuove regole particolareggiate, norme e regolamenti chiari, da completare o creare come nuovi, preziose per il comparto definendo con esattezza anche la produzione di infiorescenze.
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