Felice Natale e Buon 2019 per la filiera della Canapa… senza incertezze e conflitti che rischiano di uccidere questo comparto produttivo
Gli auguri di fine anno sono un obbligo beneaugurante anche perché molti nodi stanno venendo al pettine nel mondo della Canapa italiana. Il primo campo di battaglia è proprio quello della Cannabis Light o Legale, quella meno “normata” o meglio, molto meno definita dalla Legge, quindi vittima di troppe interpretazioni da parte di uomini di legge, in primis dalla magistratura, da parte di canapicoltori, commercianti e tanti altri… troppi. Felice Natale e Buon 2019 per la filiera della Canapa, per un prossimo anno che sia privo della grande confusione e della forte contrapposizione che in molte province sta portando gli umori al calor bianco.
Più avanti in questo articolo alcuni passi di una sentenza della Cassazione, provvedimento che in molte sue sottolineature farà molto discutere.
Il danno economico per il settore è dietro l’angolo, tutto perché il legislatore ha fatto e fa le cose a metà.
Ha emanato leggi come la 242 del 2016 (vedi link), approvata dal Parlamento a dicembre 2016 e resa attiva da gennaio 2017, legge che ha lasciato e lascia in ampie zone grigie e indeterminate, a cominciare dalla questione dei fiori di Canapa anche se da varietà certificate della Cannabis Sativa L. con concentrazione limitata, risibile e stabilita di THC (livello non stupefacente, non dopante).
Le incertezze, la mancanza di chiarezza e di un’accurata definizione legislativa, mettono in difficoltà anche gli organi di governo territoriale
Assente una chiarezza scritta che sia netta grazie anche all’uso di poche parole (non ci vuole molto!) non in “giuridichese” intraducibile. Poche battute, per esempio, sugli esatti ambiti di applicazione di quei limiti, 0,2 – 0,6. Si eviterebbero le attuali, solite, numerose interpretazioni sulla legge 242, decifrazioni e riletture a volte spregiudicate e/o fantasiose che lasciano troppo spazio all’opera di “furbetti”.
Mancano ancora quei vitali decreti attuativi legati alla legge 242 sulla promozione della filiera della canapa, dispositivi che dovevano essere emanati entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, per esempio quelli sui limiti di Thc negli alimenti (e non solo) contenenti canapa.
Non si riesce a capire come lo Stato voglia sostenere i malati che hanno bisogno della Cannabis Terapeutica, quindi come intenda amplificare la produzione italiana per non dover comprare prodotto dall’estero e lasciare malati senza le terapie prescritte dal Sistema Sanitario Nazionale.
In una situazione del genere, di indeterminatezza e accavallamento legislativo, ogni tribunale e ogni procura d’Italia si trova in un terreno indefinito, deve muoversi secondo interpretazioni troppo ampie, legate alla “linea giurisprudenziale-giudiziaria” dominante in ogni struttura territoriale.
Non c’è una linea univoca, né può esserci in queste condizioni.
Anche il vertice avvenuto nei locali della prefettura di Lecce il 20 dicembre non è riuscito a fare chiarezza sui dubbi riguardanti la possibilità di vendere Cannabis Light grazie a distributori automatici spesso installati vicino a scuole superiori (piazza Pallio dove di istituti superiori ce ne sono tre).
“Chi opera nella legalità non deve temere controlli appurati, campionamenti, analisi verificate e puntuali – ha detto con grande pacatezza ed equilibrio Maria Teresa Cucinotta, prefetto di Lecce – il tutto in un quadro normativo in cui spetta alle istituzioni nazionali ed europee il compito eventuale di cambiare le leggi dello Stato in cui si muovono gli operatori. Chi opera nella legalità e con marchi nazionali con una lunghissima filiera di controlli deve anzi sperare che l’azione delle forze dell’ordine e della magistratura colpisca senza pietà gli improvvisati del settore o chi si comporta in maniera illecita o commercializzando prodotti fuori dalla normativa”.
È un’evidente sollecitazione pacata, ma ferma, anche al mondo politico per una migliore definizione di legge sul settore Canapa.
A soffrirne dell’incertezza sono comunque coloro che producono, coloro che lo fanno bene seguendo passo per passo la legge che disciplina la canapicoltura italiana, quindi quelli che dovrebbero essere tutelati, resi sicuri nei loro sforzi e investimenti senza essere confusi, neppure lontanamente, con il l’opposto mondo dell’illegalità.
L’immagine e lo sviluppo della filiera della Canapa soffrono dell’attuale situazione. Sempre più urge un’unione tra associazioni, federazioni, realtà territoriali che rappresentano i produttori. Stop alle divisioni se si vuol contare qualcosa ai tavoli istituzionali e contribuire da attori principali al disegno di leggi ottimali.
Felice Natale e Buon 2019 per la filiera della Canapa, ma le contraddizioni si moltiplicano
Lievitano nel loro numero i sequestri di Cannabis Light da Nord a Sud dell’Italia. Allo stesso tempo, alcune sentenze sconcertano per l’equivoco che indirettamente e/o direttamente divulgano.
Due i capisaldi che avrebbero dovuto dare certezza, la legge 242/16 e il DPR 309/90.
Invece non è così.
La Corte di Cassazione è stata chiara pronunciandosi il 6 dicembre scorso (leggi l’articolo a questo link). Ha ribadito come la suddetta norma permetta la commercializzazione dei prodotti della canapicoltura sottolineando limitazioni riprese dalla stessa 242 (in primis, la concentrazione massima di THC allo 0,2 per cento).
Poi, in una estesa sentenza della sezione penale (sezione 6 – da copia non ufficiale della Corte di Cassazione) risalente al 27 novembre 2018, emerge qualcosa che lascia interdetti e che qualcuno dovrà spiegare meglio, al di fuori dei barocchismi del linguaggio giuridico.
Firmataria è la dottoressa Anna Petruzzellis che dal 27 luglio 2018 è presidente sezione Corte di Cassazione, già consigliere della stessa Corte.
Le parole contenute nella sentenza del 27 novembre 2018 evidenziano che c’è tanto da fare per distinguere lecito e illecito senza reciproche compenetrazioni
È bene riportare alcuni spezzoni significativi della sentenza. Riguarda un’istanza di riesame riguardo un provvedimento del Tribunale di Forlì dopo sequestro di materiale da negozi.
Non specifichiamo caso e nome. È un ricorso contro un sequestro generalizzato del materiale conservato da un’azienda, azione generata da indagini. Restiamo molto sul vago.
“… la Corte ritiene tutt’ora valido il principio espresso da Sez. 6, n. 46074 del 08/10/2015, Gulli’ e altri, Rv. 265519 secondo il quale la cannabis sativa L, in quanto contenente il principio attivo Delta-9-THC, presenta natura di sostanza stupefacente sia per la previgente normativa che per l’attuale disciplina, costituita dall’art. 14 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dall’art. 1, comma terzo, D.L. 20 marzo 2014, n. 36 (ndR: disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), convertito dalla legge 16 maggio 2014, n.79, in cui l’allegata Tabella II prevede solo l’indicazione della Cannabis, comprensiva di tutte le sue possibili varianti e forme di presentazione, e riferibile a tutti i preparati che la contengano, rendendo così superfluo l’inserimento del principio attivo Delta-9-THC“.
E ancora: “In motivazione è stato affermato che «è destituita di fondamento anche la tesi secondo cui l’attuale disciplina, costituita dall’art. 14 del Testo Unico sugli stupefacenti (Criteri per la formazione delle tabelle) come modificato dall’art. 1, comma 3 del d.l. 20 marzo 2014 n. 36 convertito in I. n. 79 del 16 maggio 2014, non contempli la Cannabis sativa L tra le sostanze psicotrope, confermando la pretesa scelta legislativa di non averla mai espressamente indicata nelle previgenti tabelle”.
“Vale, infatti, in primo luogo rilevare che al suo comma 1, lett. b), n. 1) l’art. 14 contempla espressamente la cannabis (senza ulteriori specificazioni) e i prodotti da essa ottenuti; al suo comma 4 l’articolo stabilisce poi che ‘le sostanze e le piante di cui al comma 1 lettere a) e b) sono soggette alla disciplina del presente testo unico anche ove si presentino sotto ogni forma di prodotto, miscuglio o miscela”.
“In conformità alle citate previsioni, la vigente tabella II si limita, perciò, a indicare la denominazione comune della sostanza (cannabis), da intendere con riferimento a tutte le sue possibili varianti (Indica, Sativa L, etc.), alle diverse forme di presentazione (foglie e infiorescenza, olio e resina) e a tutti i preparati che la contengano: in tale prospettiva l’omessa menzione specifica del Delta-9-THC o tetraidrocannabinolo appare giustificata in quanto superflua e non suona per nulla come conferma di un preteso mancato di inserimento del principio tra le sostanze psicotrope nelle tabelle previgenti alla legge n. 49 de 2006″.
Più avanti il dispositivo-sentenza rincara la dose.
Prima richiama la legge 242 del 2016, “… (art. 4, comma 5, della legge): la percentuale di THC non deve superare lo 0,2% e quella nelle piante analizzate potrà oscillare dallo 0,2% allo 0,6% senza comportare responsabilità per l’agricoltore”.
“Nel caso in cui la percentuale di THC dovesse superare la soglia dello 0,6% (art. 4, comma 7, della legge) l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro o la distruzione della coltivazione, ma anche in questo caso «è esclusa la responsabilità dell’agricoltore»”.
Poi sentenzia: “A tal riguardo, deve essere osservato che la previsione della sequestrabilità delle piante in cui si rinvenga una percentuale di THC superiore allo 0,6% non ha determinato la ridefinizione, ad opera della legge 242/2016, della natura di stupefacente dei derivati della coltivazione – e perciò inducendone la liceità qualora la presenza di tale principio rimanga nell’ambito dello 0,6%. Essa, invero, si riferisce esclusivamente alle coltivazioni in atto e non ai suoi prodotti ed è stata evidentemente prevista per assicurare che le finalità agroindustriali disciplinate della medesima legge n. 242/2016 non comportino pericoli correlati alla circolazione di sostanze contenenti principi di natura psicotropa presenti nelle piante di canapa”.
La necessità rilevata dalla Corte
“Deve essere formulato il seguente principio di diritto: «La cannabis sativa L, in quanto contenente il principio attivo Delta-9-THC, presenta natura di sostanza stupefacente sia per la previgente normativa che per l’attuale disciplina, costituita dall’art. 14 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dall’art. 1, comma terzo, D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito dalla legge 16 maggio 2014, n.79, in cui l’allegata Tabella II prevede solo l’indicazione della Cannabis, comprensiva di tutte le sue possibili varianti e forme di presentazione, e riferibile a tutti i preparati che la contengano, rendendo così superfluo l’inserimento del principio attivo Delta-9-THC»”.
“«L’introduzione della legge 2 dicembre 2016 n. 242 che, stabilendo la liceità della coltivazione della cannabis sativa L per finalità espresse e tassative, non prevede nel proprio ambito di applicazione quello della commercializzazione dei prodotti di tale coltivazione costituiti dalle infiorescenze (marijuana) e dalla resina (hashish) e – pertanto – non si estende alle condotte di detenzione e cessione di tali derivati che continuano ad essere sottoposte alla disciplina prevista dal d.P.R. n. 309/90, sempre che dette sostanze presentino un effetto drogante rilevabile»”.
“Pertanto, questa Corte ritiene che la legge n. 242 del 2016 non ha comportato la ridefinizione dell’ambito di liceità delle diverse condotte di detenzione e cessione della marijuana e dell’hashish quali derivati dalle coltivazioni di cannabis sativa L, le cui finalità sono definite espressamente e tassativamente dall’art. 2, comma 2, I. n. 242 del 2016″.
Alla redazione di Canapa Oggi viene da aggiungere “ci mancherebbe pure che non fosse così!”. Hashish e marijuana nulla hanno a che vedere con la filiera della Canapa e con gli sforzi di coloro che ci lavorano.
È comunque inevitabile ravvisare una qualche forma di equivoci dettati da una non ben delineata forma di legge. Non c’è una completa linea divisoria legislativa – non equivocabile – tra l’illecito e la canapicoltura, il confezionamento di prodotti derivati ammessi dalla legge 242 del 2016.
Sono ancora possibili troppe commistioni e sovrapposizioni, equivoci possibili in linea ideale e di immagine (voluti o meno), come tra “fiore”, “hashish” e marijuana” che nel nuovo comparto agricolo e della trasformazione non sono la stessa cosa e non sono accomunabili.
Non resta che fare alcuni richiami ai protagonisti per sperare in un buon 2019 (e oltre) per la filiera della Canapa
Commercianti, canapicoltori e trasformatori devono attenersi a quanto indicato in maniera definitiva (stante l’attuale normativa) sul valore massimo di THC, quindi 0,2 per cento e su quanto stabilito per la tracciabilità di semi utilizzati. Indispensabile l’unione del settore.
Ai politici invece si chiede di sbrogliare la matassa di leggi, articoli e commi. Soprattutto, si chiede di riempire quei vuoti normativi che permettono strane manovre da un lato e troppa discrezionalità interpretativa derivata da forti incertezze da parte di chi deve applicare la Legge.
Un frammento di notizia ancora non scritto sulla sentenza di cui sopra: la Corte ha rigettato il ricorso sul sequestro dei prodotti.
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