Cannabis medico-terapeutica story: situazione a oggi, mancanze, sviluppo normativo e attuale impasse
Cannabis terapeutica potente e utilissimo rimedio per parecchie affezioni, chiave di volta in molti trattamenti che riguardano malati farmacoresistenti. È una materia prima naturale-vegetale che sta ormai rivelando grandi potenzialità, oltre a mostrare in laboratori sparsi nel mondo comprovate proprietà in più svariati campi clinici, tutte da approfondire.
Utile in casi di epilessia, malattie degenerative del sistema nervoso, trattamenti per le terapie del dolore rivolte a pazienti sotto chemioterapia o affetti da Hiv, glaucoma. L’elenco sarebbe ben più lungo, oltretutto si dovrebbe aggiungere l’ormai evidenza clinica anche nel trattamento di alcune forme tumorali. Qui il futuro prossimo riserverà molte sorprese e darà grandi speranze di cura (link raccolta articoli di Canapa Oggi).
A fronte di tutto questo è necessario ricreare lo scenario italiano, dal passato al presente, grazie ai passi di legge e decreti descritti da Nicomede Di Michele, avvocato del Foro di Napoli Nord, presidente dell’Associazione Fracta Sativa Unicanapa che organizza e realizza l’annuale Fiera nazionale “Canapa é” (vedi a questo link) in quel di Frattamaggiore (Napoli).
“L’evoluzione normativa è tale oggi che ogni forma di sofferenza, di dolore, laddove eliminabile con una appropriata terapia, rappresenta un gravissimo illecito, tanto da poter costituire causa di responsabilità”, sottolinea Di Michele quando considera la precarietà dell’assistenza sanitaria pubblica, nei casi previsti, tramite la prescrizione di Cannabis medico-terapeutica, nonché la forte disparità di trattamento da regione a regione d’Italia.
Volendo fare una cronaca precisa, quindi basandosi sui fatti, è bene rimanere sulle possibilità di utilizzo di questa pianta secondo la prescrivibilità da parte del Sistema Sanitario Nazionale e i servizi sanitari regionali.
Quindi gli impieghi a uso medico specificati dal ministro della Salute dopo consultazione con l’Istituto superiore di sanità e con l’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) per ciascuna linea genetica di cannabis.
Un intento stabilito e codificato già nel 2015. Ma la vera possibilità d’azione terapeutica viene estremamente frenata da due elementi: dalla manchevolezza della disponibilità di materia prima in Italia, a oggi producibile solo dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze; dall’assurda differenziazione tra i servizi sanitari regionali.
Per soddisfare i bisogni e la continuità delle terapie, il “Bel Paese” è costretto a indire bandi internazionali per ottenere dall’estero altra Cannabis terapeutica.
Denari che potrebbero essere invece dati a strutture italiane abilitate e controllate per questo tipo di produzione. Ma non si fa. L’Italia resta ferma al palo mentre il mondo va avanti anche in questo.
Poi il caos creato dalle regioni che, per la Sanità italiana, confezionano uno strambo “abito” dai tanti colori diversi, come quello di Arlecchino: farebbe allegria ma, purtroppo, è uno specchio negativo sui diversi criteri adottati nel dare assistenza ai malati per terapie a base di Cannabis.
Preambolo alla panoramica sulla situazione
“Con l’entrata in vigore dell’art. 18 quater del D.L. nr. 148/2017, convertito con Legge nr. 172/2017 – dice l’avvocato Nicomede Di Michele – in molti hanno sperato di poter finalmente accedere alla cura con sostanze vegetale a base di cannabis, al pari di qualsiasi altro farmaco prodotto da case farmaceutiche, ma soprattutto di poter vedere garantita la continuità terapeutica”.
“Ad onta dei buoni propositi manifestati dalle Regioni prima e dallo Stato dopo, ad oggi purtroppo quelle aspettative rischiano di non trovare concreta attuazione per la totalità degli italiani. Eppure le premesse c’erano e ci sono tutte – continua Di Michele – Per far comprendere il fenomeno che sta interessando il nostro Paese, bisogna necessariamente esaminare il dato normativo (regolamentare) che sottende l’intero processo evolutivo”.
Cannabis medico-terapeutica, la genesi delle norme che portarono alla produzione italiana
È il 2006, il Ministro della Salute autorizzava per scopi terapeutici l’importazione di farmaci registrati all’estero contenenti i principi attivi del delta-9-tetraidrocannabinolo e trans-delta-9-tetraidrocannabinolo. Lo fece grazie a due distinte circolari.
“Molte cose sono state fatte nella prospettiva di offrire ai pazienti l’opportunità di accedere a tale cura – sottolinea l’avvocato – Il momento di maggior concretezza si è avuto con l’accordo di collaborazione sottoscritto in data 18 settembre 2014 tra il ministro della Salute e il ministro della Difesa per l’avvio del Progetto Pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis”.
Abbreviando, era palese come i medici che intendevano prescrivere ai loro pazienti sostanze o preparazione di origine vegetale a base di cannabis, diversi dall’unico medicinale attualmente disponibile sul territorio italiano autorizzato all’immissione in commercio o per altre condizioni patologiche, dovevano richiedere l’importazione di prodotti regolarmente in commercio all’estero.
“Si riconobbe, in buona sostanza, la variabilità del prodotto e, quindi, la necessità per il medico di poter disporre di più prodotti, peraltro già esistenti sul mercato – racconta Nicomede Di Michele – Su queste premesse e sulla consapevolezza della caratteristica della Cannabis, che si differenzia per qualità in ragione della diversa concentrazione dei principi attivi contenuti nel fitocomplesso, il ministro della Salute iniziò un percorso finalizzato, mediante la produzione della sostanza, a garantire ai malati la cura e, soprattutto, la continuità terapeutica”.
“È interessante vedere come al punto 1 di detto accordo si faccia espresso riferimento all’interesse della collettività, alla tutela del diritto alla salute – descrive l’avvocato – con lo scopo di fornire un appropriato trattamento fitoterapico ai pazienti a cui vengono prescritte preparazioni magistrali di sostanze di origine vegetale a base di cannabis, tenuto conto delle più aggiornate evidenze scientifiche in ordine alle condizioni patologiche in cui possono trovare un uso clinico”.
Altra finalità, quella “di garantire unitarietà nell’impiego sicuro di tali fitoterapici – prosegue Di Michele – ed evitare il ricorso a prodotti non autorizzati, contraffatti o illegali, a pregiudizio della salute pubblica, nonché di consentire l’accesso a tali terapie a costi adeguati, rendendo meno onerosa l’erogazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Ecco quindi la realizzazione del Progetto Pilota, la costituzione del Gruppo di lavoro che doveva definire in un protocollo operativo la programmazione delle operazioni da compiere, la quantificazione dei bisogni in relazione alle patologie da trattare, la fitosorveglianza da esercitare, le verifiche da effettuare e le tariffe da applicare ai prodotti.
Cannabis medico-terapeutica, il Decreto del 2015
Tutta quest’opera di ricerca trovò “verbo scritto” in un provvedimento, il noto Decreto del ministero della Salute del 9 novembre 2015. Precisi i compiti e le funzioni che vengono attribuite allo stesso Dicastero, Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico – Ufficio centrale stupefacenti – attuando quanto previsto dagli articoli 23 e 28 della Convenzione Unica sugli stupefacenti di New York del 1961, ratificata in Italia con legge 412 del 5/7/1974.
Queste le funzioni:
- a) autorizzare la coltivazione delle piante di cannabis da utilizzare per la produzione di medicinali di origine vegetale a base di cannabis, sostanze e preparazione vegetali;
- b) individuare le aree da destinare alla coltivazione di piante di cannabis per la produzione delle relative sostanze e preparazioni di origine vegetale e la superficie dei terreni su cui la coltivazione è consentita;
- c) importare, esportare e distribuire sul territorio nazionale, ovvero autorizzare l’importazione, l’esportazione, la distribuzione all’ingrosso e il mantenimento di scorte delle piante e materiale vegetale a base di cannabis, ad eccezione delle giacenze in possesso dei fabbricanti di medicinali autorizzati;
- d) provvedere alla determinazione delle quote di fabbricazione di sostanza attiva di origine vegetale a base di cannabis sulla base delle richieste delle Regioni e delle Province autonome e ne informa l’International Narcotics Control Board (INCB) presso le Nazioni Unite.
“A tale ultima funzione – continua la descrizione dell’avvocato – il ministro vi provvede in relazione alle richieste che le regioni e le province autonome, entro e non oltre il 31 maggio di ciascun anno, predispongono sulla base della stima dei fabbisogni dei pazienti in trattamento e di eventuali incrementi per nuove esigenze di trattamento”. Il tutto come descritto nell’articolo 3 del Decreto ministero della Salute del 9 novembre 2015.
L’Allegato tecnico redatto dal Gruppo di Lavoro e allegato al già citato Decreto, oltre a indicare le patologie per le quali è possibile utilizzare come farmaco di supporto la cannabis per uso medico, evidenzia come “esistono diverse linee genetiche di cannabis che contengono concentrazioni differenti dei principi attivi farmacologicamente attivi e, conseguentemente, producono effetti diversi”.
Cannabis medico-terapeutica, l’assegnazione della produzione italiana allo Stabilimento Chimico Farmaceutico di Firenze
Pertanto, gli impieghi a uso medico dovranno essere specificati dal ministro della Salute, sentiti l’Istituto superiore di sanità e l’AIFA-Agenzia italiana del farmaco per ciascuna linea genetica di cannabis.
È un’ulteriore conferma di quanto contenuto nella premessa dell’accordo formativo del Progetto Pilota stabilito a settembre 2014: l’esistenza in natura delle diverse varietà di cannabis, per concentrazione dei principi atti, impiegabili dal medico a seconda della patologia da trattare.
Da qui, l’assegnazione del compito di produrre Cannabis medica allo SCFM Stabilimento Chimico Farmaceutico di Firenze, unico soggetto autorizzato dal ministero della Salute. La situazione portò “l’Italia a diventare il sesto paese al mondo come produttore di cannabis per uso medico, insieme al Canada, Regno Unito, Olanda, Danimarca e Israele – precisa l’avvocato Di Michele – Quella prodotta dallo SCFM di Firenze,denominata FM2, si aggiunse alle altre varietà genetiche disponibili e provenienti dall’estero”.
Cannabis medico-terapeutica: l’insufficienza normativa e produttiva e il quadro impietoso di oggi
“Ben presto però ci si rese conto che i Militari, da soli, non erano in grado di soddisfare per quantità e qualità le richieste sempre più pressanti dei pazienti e dei medici – racconta Di Michele – Ciò che sembrava essere ben chiaro alle Istituzioni, fu sconfessato dai provvedimenti successivamente emanati dal ministro della Salute”.
“Con il Decreto del capo Dicastero della Salute del 27 marzo 2017, che integrava il precedente Decreto del 18 agosto 1993 di approvazione della tariffa nazionale per la vendita al pubblico dei medicinali, venne stabilito il prezzo di 9 euro al grammo della cannabis infiorescenze – continua il legale – Tale decisione non tenne conto dei maggiori costi al grammo praticati sul mercato da altri produttori a seconda delle diverse concentrazioni dei principi attivi delle infiorescenze da varietà genetiche di Cannabis necessarie per la preparazione e la somministrazione di prodotti farmaceutici adatti alle peculiari terapie assistenziali”.
La FM 2, preparazione quindi tipicamente italiana, era caratterizzata da una percentuale di 5-8% di THC e 7,5-12% di CBD. Però l’imposizione del prezzo andò a contrastare con i bisogni dei medici e dei pazienti i quali, fino a quel momento, potevano contare, a seconda delle diverse esigenze terapeutiche, sulle seguenti varietà estere che differivano per concentrazione dei principi attivi:
- CANNABIS FLOS (Bedrocan®) ⇒ 22%THC ⇒ <1% CBD ⇒ SATIVA
- CANNABIS FLOS (Bediol®) ⇒ 6%THC ⇒ 8%CBD ⇒ SATIVA
- CANNABIS FLOS (Bedrolite®) ⇒ <0,4%THC ⇒ 9%CBD ⇒ SATIVA
- CANNABIS FLOS (Bedica®) ⇒ 14%THC ⇒ <1%CBD ⇒ INDICA
- CANNABIS FLOS (Bedrobinol®) ⇒ 12%THC ⇒ <1%CBD ⇒ SATIVA
“In particolare, il Bedrocan trova impiego nella sclerosi multipla, sindrome di Tourette, nausea e vomito da chemioterapia, cachessia da cancro o HIV, dolore oncologico e neuropatico – descrive Di Michele – Il Bedica trova impiego nella terapia del dolore (oncologico e non), nella anoressia e, in generale, nelle patologie in cui il Bedrocan non è adatto per eccessiva agitazione o nervosismo da THC, ovvero per contrastarne gli effetti ecc. E ancora, il Bedrolite è utilizzato solo per patologie quali l’epilessia resistente, insonnia ecc., in cui la somministrazione di CBD consente l’impiego delle sue capacità terapeutiche”.
“Fatto sta che il prodotto divenne invendibile presso le poche farmacie disseminate lungo il territorio nazionale e la difficoltà, se non addirittura l’impossibilità, di accedere alla terapia e/o avere garantita la continuità terapeutica venne da più parti denunciata – continua l’avvocato – I giornali dell’epoca (2017) evidenziarono la grave crisi che il settore della medicina sta vivendo, a dispetto delle evidenze scientifiche che dimostravano sempre più la necessità di fare ricorso a tale terapia”.
L’azione di denuncia dei media scaturì da associazioni di pazienti sparse lungo il territorio italiano (leggere un esempio a questo link) e fu affiancata da alcune associazioni come il Codacons e la società scientifica Sirca, che diffidarono il ministero affinché adottasse ogni provvedimento consequenziale che potesse garantire la continuità della terapia.
“Il ritorno alla normalità, se così si può definire, si ebbe con l’importazione di maggiori quote del prodotto dall’Olanda – prosegue la panoramica raccontata da Di Michele – operazione disposta dal ministero e con la modifica del decreto di approvazione della tariffa nazionale per la vendita al pubblico dei medicinali. Intanto, verso la fine del 2017, allo spirare della XVII Legislatura e dei due anni previsti dal Decreto del ministro della Salute del 2015 per l’operatività del Progetto Pilota, con una operazione di chirurgia amministrativo-legislativa di non poco rilievo, gli articoli 3, 6 e 8 del DDL S. 2947, recante disposizioni sulla coltivazione e la somministrazione della cannabis a uso medico, vengono trasfusi nell’articolo 18 quater del D.L. 148/2017, convertito con Legge 172/2017”.
Secondo l’intenzione del Legislatore e le aspettative dei pazienti, il passo in avanti dovrebbe essere di grande portata.
Cannabis medico-terapeutica: l’evoluzione… mancata?
Ecco qui la descrizione del cambiamento normativo, quello su cui tanti riponevano fiducia. Il quadro è sempre dipinto dall’avvocato Nicomede Di Michele – Con l’articolo 18 quater composto da 7 commi e che, in buona parte, richiama il contenuto del Decreto del ministro della Salute del 9/11/2015, il Legislatore individua:
- nello SCFM di Firenze il soggetto autorizzato alla fabbricazione di infiorescenze (comma 1);
- nel Ministro della Salute l’Organismo statale per la cannabis, il quale, per assicurare la disponibilità di questa materia prima vegetale per uso medico sul territorio nazionale, anche al fine di garantire la continuità terapeutica dei pazienti già in trattamento, può autorizzare l’importazione di quote da conferire allo SCFM di Firenze (comma 2);
- ovvero, qualora risulti necessaria la coltivazione di ulteriori quote di cannabis oltre quelle coltivate dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, può individuare uno o più enti o imprese da autorizzare alla coltivazione nonché alla trasformazione (comma 3), oltre a stabilire i criteri per la formazione e l’aggiornamento del personale medico, sanitario e sociosanitario(comma 4), così come anche lo sviluppo e la ricerca (comma 5).
Nel successivo comma 6 sono indicati gli impieghi terapeutici per i quali le preparazioni magistrali a base di cannabis prescritte dal medico sono a carico del Sistema Sanitario Nazionale, nei limiti del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato:
- terapia contro il dolore, ai sensi della legge 15 marzo 2010, n. 38, impieghi previsti dall’Allegato Tecnico al decreto del Ministro della salute 9 novembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2015, quali l’analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale) resistente alle terapie convenzionali;
- l’analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace;
- l’effetto anticinetosico ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV, che non può essere ottenuto con trattamenti tradizionali;
- l’effetto stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa, che non può essere ottenuto con trattamenti standard;
- l’effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali;
- la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non può essere ottenuta con trattamenti standard.
Queste patologie entrano così a pieno titolo nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Al secondo periodo di questo comma 6, si stabilisce inoltre che il medico può prescrivere le predette preparazioni magistrali per altri impieghi, ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 94, il cui costo resta a carico del paziente o, ove previsto, del Servizio Sanitario Regionale.
Cannabis medico-terapeutica, grandi differenze assistenziali tra le regioni italiane: malati che vengono assistiti dal SSN e altri che non ne hanno diritto, dipende da dove risiedono
Il problema fu evidente da subito, ancora di più quando molte regioni che legiferarono in materia si attribuirono il costo del medicinale solo per alcune patologie. Il farmaco-preparato rimase e rimane a carico del malato per gli altri impieghi non contemplati nei LEA.
Una situazione di evidente grande disparità di trattamento che fu denunciata più volte in numerosissimi convegni scientifici.
Si realizza così “un sistema di rimborsabilità della sostanza per le patologie trattabili ai sensi dell’articolo 5 della Legge Di Bella a carico del SSR – racconta Di Michele – Ma questo sistema non vale per tutte le Regioni, rendendo così ancora più dura e concreta la disparità di trattamento tra i malati. Ancora più grave per coloro che risiedono in quelle regioni che ancora oggi non hanno ancora recepito l’articolo 18 quater della legge 172 del 2017”.
Vie di soluzione per un’uniformità di trattamento nazionale per la Cannabis medico-terapeutica e sua produzione
“Una condizione, quella attuale, che non è più accettabile visto soprattutto il riconoscimento del mondo scientifico della qualità terapeutiche della cannabis medica per patologie diverse da quelle indicate a carico del Sistema Sanitario Nazionale – rimarca l’avvocato Di Michele – Fino a quando leggeremo storie di persone, come quella di Monica Bin di Lendinara, disposte a fare lo sciopero della fame per denunciare la mancanza di cannabis terapeutica, allora vuol dire che qualcosa non sta funzionando”.
“Se è vero, come è vero, che il banco di prova di un provvedimento legislativo è costituito anche dall’umore dell’utenza finale – dice Nicomede Di Michele – possiamo allora ritenere che l’obiettivo voluto dal Legislatore non risulta essere stato raggiunto completamente. Il diritto a non soffrire, al pari del diritto alla vita e alla salute, è inviolabile nonché tutelato dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nella Legge 219/2017, quella del consenso informato e dei DAT-Disposizioni anticipate di trattamento”.
Basta ricordare il fondamentale articolo 2, comma 1 dove si stabilisce che “il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38”.
“È auspicabile – conclude l’avvocato Di Michele – che quei motivi utilizzati come base di partenza del percorso di civiltà che abbiamo avuto modo di apprezzare leggendo la premessa dell’accordo del settembre del 2014, possano oggi trovare piena attuazione a tutela del bene della salute, compreso quello della non sofferenza, quale diritto graniticamente custodito nei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale e in altre fonti sovranazionali”.
Commenti recenti