Per la Cassazione vendere la Cannabis light è illegale? A fine sentenza: vendere è reato a meno che non ci sia efficacia drogante…
Nonostante Maria Giuseppina Fodaroni, procuratore generale della Cassazione, avesse chiesto di inviare gli atti alla Corte Costituzionale per poter prendere ogni decisione, le sezioni riunite dell’Alta Corte hanno comunque sentenziato. Per la Cassazione secondo l’informazione provvisoria 15 di sentenza, vendere la Cannabis light è illegale. Forse… sì, no, vediamo…
A chiusura della dispositivo emanato poco dopo le 18 del 30 maggio 2019, si legge che sono reato, “le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.
Adesso arriva la complicazione-ambiguità sottolineata dall’informazione provvisoria della Cassazione: capire questo effetto drogante.
Innanzitutto, la Cannabis Sativa L. secondo le varietà permesse nel Catalogo comune delle specie di piante agricole (come citato nella stessa sentenza), non ha proprietà psicotrope.
Oltretutto, quale limite considerare? E qui ci risiamo con l’eterna questione del settore. Lo 0,2 per cento massimo di THC? Lo 0,5 per cento massimo di THC, soglia indicata dalla norma italiana, oltre la quale è droga?
Già su questa materia, liceità o meno della Light e limiti di THC, la Cassazione a sezioni separate, s’è già pronunciata diverse volte, come il 6 dicembre scorso. anche se aveva concluso con un incerto (sempre incerto), “per la sussistenza del reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990 a carico del commerciante, occorre verificare l’idoneità della percentuale di THC a produrre un effetto drogante rilevabile”.
Non trovano la quadra?
Intanto sì è diffuso il panico in un intero settore, migliaia di negozi e di canapicoltori sparsi in tutta Italia. È tutto conseguenza che deriva soprattutto dalla non chiarezza della Legge 242 del 2016 che deroga sì rispetto a precedenti norme individuando nella Canapa Sativa L. un prodotto commercializzabile. Ma sulle infiorescenze lascia un vero e proprio buco nero.
Già al convegno dell’Associazione Canapa Sativa Italia svoltosi a Roma il 29 maggio alla Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto – Camera dei Deputati, l’avvocato Carlo Alberto Zaina, presente oggi durante la seduta della Cassazione nella sua qualità di avvocato della difesa, ebbe già a dire che il potere politico stava perdendo un’occasione per legiferare al meglio.
In questo caso, ha sottolineato il legale, l’aveva persa già nella definizione della Legge 242 del 2016 e implicitamente delegava al potere giudiziario la definizione delle materie oggetto delle leggi, adesso sulla Cannabis Sativa. Una delega inopportuna, una compensazione che il potere legislativo non deve consentire al potere giudiziario emanando norme complete e rimodulando quelle esistenti senza lasciare aspetti importanti non definiti.
Per un utile riassunto, all’articolo 2 della Legge 242, sulla “Liceità della coltivazione”, al comma 2 vengono elencate le destinazioni produttive della Filiera della Canapa:
a) alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;
b) semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;
c) materiale destinato alla pratica del sovescio;
d) materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;
e) materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;
f) coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;
g) coltivazioni destinate al florovivaismo.
Al comma 3: L’uso della canapa come biomassa ai fini energetici di cui alla lettera b) del comma 2 è consentito esclusivamente per l’autoproduzione energetica aziendale, nei limiti e alle condizioni previste dall’allegato X alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.
All’articolo 1 sulle finalità della 242, comma 3:
Il sostegno e la promozione riguardano la coltura della canapa
finalizzata:
a) alla coltivazione e alla trasformazione;
b) all’incentivazione dell’impiego e del consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente
locali;
c) allo sviluppo di filiere territoriali integrate che valorizzino i risultati della ricerca e perseguano l’integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale;
d) alla produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi
settori;
e) alla realizzazione di opere di bioingegneria, bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca.
Il pronunciamento della Cassazione (immagine del documento visibile dopo il testo riportato)
“La commercializzazione di Cannabis Sativa L. e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto, integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante“.
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