Canapa, disastroso effetto-elastico di sentenze e controsentenze. Pubblicate le motivazioni per il verdetto di Cassazione del 30 maggio. Troppa confusione, bisogna normare con chiarezza
Il comparto della Canapa industriale, quella senza elementi psicotropi -noioso doverlo sempre specificare ma, nella confusione generale, bisogna farlo- è preda dell’effetto-elastico di sentenze e controsentenze grazie a vuoti normativi che debbono essere colmati con estrema urgenza.
Bisogna agire velocemente, apportare corrette modifiche alla Legge 242 del dicembre 2016 o collegarla ad altri strumenti legislativi. In caso contrario, per la Filiera non ci sarà promozione né sostegno, ma solo gran confusione e aziende che cadranno in crisi anche irreversibili. A cominciare dal comparto del commercio, oggi il più esposto anche se non l’unico.
Complice è pure il clima di sempre più accesa contrapposizione politica che va avanti con paraocchi pseudoideologici e senza capire/informarsi, senza considerare le enormi potenzialità del settore.
L’espressione “effetto-elastico” va inteso come un pericoloso tira e molla tra negatività e positività che piombano grazie a sentenze diverse.
Quella della Cassazione sembra eliminare la Cannabis Light e altri prodotti da quelli consentiti.
L’altra (successiva) del Tribunale del riesame di Genova che per molti ha riacceso speranze nello scardinare l’effetto-Macerata: le Forze dell’Ordine devono sequestrare solo dei campioni, poi fanno la verifica del prodotto su questi e, solo con i risultati nero su bianco, mettere sotto sequestro la merce in caso di sforamento del “limite drogante” (che, però, deve essere definito-non sta scritto da nessuna parte).
Dopo l’esempio di Genova bisogna però essere cauti perché dietro l’angolo sta in agguato l’effetto scacchiera: territorialmente possono esserci sentenze diverse e opposte. Per esempio, a Roma, a Milano o a Napoli i tribunali potrebbero sentenziare diversamente dal capoluogo ligure, ognuno con sue sfumature non da poco.
A tutto questo si è aggiunga la pubblicazione delle motivazioni (link file pdf da leggere: Cassazione-motivazioni-sentenza-30-maggio-2019-SU-30475-del-2019-cannabis-sativa) che stanno alla base della sentenza a sezioni riunite della Cassazione risalente allo scorso 30 maggio (leggi la sentenza a questo link).
Motivazioni che l’avvocato Carlo Alberto Zaina bolla come portatrici di ulteriore confusione in merito ai limiti di sostanza psicotropa, soglie che sembrano passare in secondo piano rispetto a trent’anni di osservazioni tossicologiche fatte dal mondo scientifico che ha definito parametri precisi.
Necessità urgente di fare chiarezza nelle norme, secondo l’avvocato Giacomo Bulleri, altrimenti si renderà difficilissimo fare impresa proprio a causa delle diverse interpretazioni e delle troppe zone oscure nel sistema legislativo italiano riguardante la Filiera della Canapa.
Per farla breve (per quanto possibile), l’Alta Corte ha fatto piombare un’altra pietra tombale, sempre in chiave equivoca con quell’efficacia drogante da verificare nei prodotti commercializzati… ma che non possono essere commercializzati.
Che confusione!
Intanto, per capirci qualcosa bisogna tuffarsi nelle strette spire di quella lingua oscura che è il “legalese“, fatta apposta per essere chiara ai soli adepti… e non tutti.
Entrando nel merito dei punti salienti contenuti nelle motivazioni della sentenza di Cassazione emanata il 30 maggio
Le motivazioni danno punti fissi inequivocabili. Poi, entrando più nel profondo, non bisogna farsi confondere.
Sembra ribadire un limite che sembra invalicabile (lo 0,2% nella concentrazione di THC, essendo la soglia allo 0,6% indicata nella legge 242 a sola tutela dell’agricoltore).
Nell’ambito degli altri processi di filiera, a cominciare dalla vendita, la stessa 242 non è applicabile essendo diretta solo della fase agricola.
- “La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n° 242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (link XXXVI edizione integrale 2017, successivamente con periodici aggiornamenti – vedere pag. 199) ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 (link per la lettura) e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati”;
- “sicché, la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, infiorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 309/90, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività“;
- la Cassazione ricorda nelle motivazioni che “l’insegnamento giurisprudenziale da tempo ha valorizzato il principio di concreta offensività della condotta, nella verifica della reale efficacia drogante delle sostanze stupefacenti, oggetto di cessione”, anche analizzando l’eventuale inoffensività nei casi di “coltivazione domestica” di cannabis, le Sezioni riunite hanno sancito che “è indispensabile che il giudice di merito verifichi la concreta offensività della condotta, riferita alla idoneità della sostanza a produrre un effetto drogante”. Il tutto basandosi anche su principi ribaditi di recente dalla Corte Costituzionale sulla legittimità del reato di coltivazione di piante stupefacenti anche in caso di uso personale delle sostanze ricavate (Corte costituzionale, sentenza 109 del 2016);
- Quindi, quel che occorre verificare, secondo le motivazioni, “non è la percentuale di principio attivo contenuta della sostanza ceduta, bensì l’idoneità della medesima sostanza a produrre in concreto un effetto drogante“;
- è un reato “l’offerta a qualsiasi titolo, la distribuzione e la messa in vendita dei derivati della coltivazione della cannabis sativa”, però il giudice che si dovesse trovare a esaminare queste situazioni, dovrà “verificare la rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetto di cessione”;
- le motivazioni sulla sentenza della Cassazione evidenziano che “dalla coltivazione di cannabis sativa L. non possono essere lecitamente realizzati prodotti diversi da quelli elencati dall’art. 2, comma 2, legge 242 del 2016 e, in particolare, foglie, infiorescenze, olio, resina. Conclusivamente sul punto, è appena il caso di sottolineare che non si rinviene alcun dato testuale, né alcuna indicazione di ordine sistematico, come chiarito, che possa giustificare la tesi – che pure è stata espressa – volta a far rientrare le inflorescenze della canapa nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo;
- la normativa, ovviamente, potrà essere modificata dal legislatore che potrà “delineare una diversa regolamentazione del settore”.
Una sentenza contro, una a favore, una “di mezzo” e aziende intere, commercianti, coltivatori, senza escludere gli stessi consumatori bombardati dalle più disparate informazioni, vengono sballottati in direzioni opposte proprio da questo effetto elastico giurisprudenziale.
Non se ne può più. Come non è possibile che ogni questura possa decidere in maniera differente con un disastroso effetto a scacchiera a livello nazionale.
L’ultima più recente vicenda riguarda la decisione dei giudici del tribunale del Riesame di Genova dopo la sentenza della Cassazione dello scorso 30 maggio: i magistrati hanno stabilito che la cannabis light non può essere sequestrata preventivamente se non viene provato che il livello di concentrazione dell’unico elemento psicotropo, il Thc, supera lo 0,5%.
Nella vita reale proprio su questo punto si accavallano perquisizioni, sequestri totali o parziali delle merci, negozi che vengono fatti chiudere, restituzioni da parte dell’autorità giudiziaria di quanto sequestrato. Una grande confusione derivata dall’incompletezza della legge di riferimento sulla promozione della filiera della Canapa e dall’ambiguità sul “limite drogante” in quanto non c’è una norma che la indichi, non la 242 (ma non era il suo scopo).
Effetto-elastico di sentenze e controsentenze: troppa confusione. L‘avvocato Bulleri invoca un intervento del legislatore
“Vista la sentenza di Cassazione del 30 maggio – ha sottolineato l’avvocato Giacomo Bulleri – la non presenza di reato se è comprovata la mancanza di effetto drogante, la non indicazione di alcuni prodotti nella legge 242, la possibile interpretazione a macchia di leopardo da parte dei tribunali in tutto il territorio, da Macerata, a Genova, a Roma, tanto per citarne alcuni, rende obbligatorio l’intervento del legislatore, quindi del mondo politico, per delineare con chiarezza il settore con chiarezza definitiva”.
“Il fiore di canapa presenta già le sue problematiche nelle sue chiare destinazioni, a livello europeo nell’alimentare o nel cosmetico che sono già indicate nella legge italiana – ha proseguito l’avvocato Bulleri – Andando oltre, analizzando l’aspetto che riguarda le libertà individuali e di utilizzo di un prodotto lecito, qui prevalgono le istanze politiche quindi serve un’azione parlamentare. Tanto è vero che già il procuratore generale della Cassazione, appena prima della sentenza del 30 maggio, aveva compreso la situazione e voleva portare tutta la vicenda a una decisione della Corte costituzionale”.
“Quindi la questione sta su due livelli – ha chiuso Bulleri – Uno di libertà e di definizione di prodotto agricolo lecito. Dall’altro la determinazione particolareggiata per legge sull’uso e sul conseguente ambito commerciale di tale prodotto. Se è destinato a esser fumato, dovrà essere coordinato secondo la norma sul fumo o secondo quelle sulle erbe come il tabacco. La 242 è una legge quadro che ha normato per la prima volta un settore da ancorare alle leggi di settori già esistenti, per esempio a quelle sull’alimentare, sulla cosmetica, oppure al decreto piante officinali. Il legislatore deve agire, bene, in maniera particolareggiata, normare nero su bianco. Ci sono mille strumenti, rapidi, la situazione poteva già essere risolta senza mettere mano alla 242 rimodellandola, fattore quest’ultimo che richiederebbe lunghe procedure, voto del Parlamento, un iter molto complesso. In un momento come questo sarebbero adatti altri strumenti legislativi come l’adozione di regolamenti attuativi, decreti ministeriali, decreti legislativi, un mille proroghe”.
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