La filiera italiana della canapa prova a ripartire dalla legge: Canapa Live fa il punto sulla situazione
Gli effetti di 40 anni il proibizionismo sono tutti visibili oggi, quando la filiera italiana della canapa prova a ripartire da una Legge nazionale (n. 242 del 2 dicembre 2016, in vigore dal 14 gennaio 2017) e da una normativa regionale (che interessa per ora il Lazio).
Se ne è parlato in occasione di “Canapa Mundi” (guarda la galleria fotografica), nel corso di una conferenza tenuta dall’associazione culturale Canapa Live. Il presidente e fondatore Emiliano Stefanini (in foto) ha ripercorso le tappe dell’iter legislativo (cui anche l’associazione ha preso parte) e le criticità che ancora vanno affrontate per riportare in vita quella che decenni fa costituita un’eccellenza della produzione agricola nazionale.
L’obiettivo più significativo raggiunto con il dialogo tra le parti interessate è stato quello della semplificazione degli adempimenti per l’agricoltore che desideri impiantare canapa a uso industriale. Oggi la canapa è equiparata a qualsiasi altra coltura orticola; l’unico obbligo è quello di conservare l’etichetta della semente acquistata, congiuntamente alla fattura di acquisto. Ciò perché, ai fini del recupero della coltivazione di canapa, è necessario che la varietà impiantata abbia valori molto bassi di THC (cioè dell’unico cannabinoide – sui ben 140 esistenti nella pianta – che abbia effetto psicotropo, NdR).
Il presidente Stefanini conferma che tutti i test effettuati sulle cultivar commerciali attualmente disponibili per la coltivazione di canapa industriale non si avvicinano neppure lontanamente ai valori minimi e massimi previsti dalla Legge (min. 0,2 – max 0,6% di THC).
E qui sta il paradosso: l’Italia ha perso terreno su un comparto estremamente promettente, a causa di un proibizionismo immotivato, che si è risolto – secondo il presidente di Canapa Live, “in un sistema che è andato a discapito dell’impiego delle fibre naturali in economia, con ciò favorendo le lobby del petrolio e della chimica”.
Guarda il video di presentazione sulle attività di ricerca dell’Associazione Canapa Live (video realizzato prima dell’approvazione della Legge)
Gli obiettivi a medio termine
La forzata estinzione di un’intera filiera comporta oggi molte sfide per la sua ricostituzione, prima fra tutte quella delle sementi. Stefanini ricorda infatti che l’effetto più negativo del proibizionismo si riflette oggi nella mancanza di varietà autoctone, alcune delle quali sono andate completamente perdute.Non a caso, l’Italia importa oltre il 50% della semente destinata alla coltivazione di canapa industriale da Cina e Canada, mentre oltre il 35% è fornito da Germania e Francia. Quest’ultimo paese vanta una tradizione nella coltura di canapa industriale e ha visto conseguentemente anche un progresso nella genetica.
Secondo quanto riferito da Stefanini, la Regione Lazio ha già un in atto un progetto sperimentale fin dal 2014, in collaborazione con Arsial e ditte sementiere, per ricostituire cultivar adatte agli ambienti mediterranei. Tra i progetti pilota della Regione, anche quello volto alla costituzione di banche pubbliche del seme, cui gli agricoltori potranno accedere.
Ma il seme, come noto, è solo l’inizio di una filiera agricola: tra le altre sfide ci sono quelle che riguardano le tecniche agronomiche più idonee alla canapa, con la definizione delle corrette epoche di semina, del corretto sesto di impianto, etc.
Così come manca il passaggio più significativo perché la canapa industriale trovi uno sbocco commerciale valido: parliamo degli impianti di lavorazione della materia prima, quali essiccatori o frantoi o impianti di decorticazione e strigliatura, che possano costituire un riferimento per le aziende agricole sui vari territori di produzione. Oggi di fatto sono solo due gli impianti di prima trasformazione della materia prima: uno in Piemonte, l’altro in Puglia. Il che rende evidente l’insostenibilità economica per un agricoltore di piccolo apprezzamento nel trasportare per centinaia di chilometri la sua materia prima a uno di questi stabilimenti.
A tal proposito, Stefanini è stato molto chiaro: “Oggi non bisogna illudere il mondo agricolo che la canapa costituisca una soluzione a breve termine. Dobbiamo incentivare il ripristino della coltivazione su premesse sicure. Da questo punto di vista, esorto anche la ricerca scientifica a non alimentare premature speranze. Va raccontata la verità, con entusiasmo ma anche con cautela. Oggi le regioni che hanno legiferato in materia di canapa industriale sono soltanto cinque: Toscana, Abruzzo, Emilia-Romagna, Campania e Lazio (con approvazione lo scorso 1 feb 2017, NdR). La legge nazionale prevede comunque uno stanziamento di 700mila euro l’anno per il recupero di questa filiera virtuosa”.
Fatte salve le debite cautele, non si possono tuttavia sottacere gli innumerevoli vantaggi della canapa: non necessita di diserbo, né di particolari input chimici, si presta ampiamente alla coltivazione in regime biologico, è ottima nell’uso come sovescio per il recupero della fertilità del terreno, è in grado di ripulire terreni fortemente contaminati, anche da metalli pesanti, presenza di discariche, elementi radioattivi. E’ a rapidissimo accrescimento e non richiede grande apporto idrico. Il suo “legno” ricco di fibra, detto canapulo, si presta è più svariati utilizzi: dalla bioedilizia, ai materiali plastici biodegradabili, all’oggettistica, al pellet e tanto altro.
Tra i progetti pilota della Regione Lazio, ci sono infatti anche quelli relativi alla bioedilizia e alla produzione di alimenti a base di canapa. Ciò potrebbe servire, secondo Stefanini, a favorire una miriade di filiere tipiche, con la presenza di essiccatoi e frantoi a carattere prevalentemente pubblico, in grado di certificare la materia prima, distribuiti sul territorio.
Nel Lazio, d’altra parte, si è posto il divieto alla coltivazione di canapa per la produzione di biomassa a uso energetico, fatta esclusione per gli usi strettamente interni alla singola azienda agricola. Gli impieghi potenziali della canapa sono in effetti talmente variegati e interessanti, che tra le centinaia di soluzioni di impiego quella dei biocarburanti sembra la meno auspicabile.
La legge nazionale, in vigore dal 14 gennaio 2017, costituisce dunque solo il primo passo. Ora è importante la sinergia tra enti di ricerca, istituzioni, mondo produttivo, e un Legislatore accorto che non tarpi subito le ali a quelli che potrebbero essere gli svariati utilizzi di questo straordinario vegetale.
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