Filiera della canapa italiana, imparare dai successi e dai problemi altrui: il caso Colorado
Un settore agricolo e industriale da ricreare impone il continuo confronto con le realtà estere, soprattutto se alcune di queste viaggiano su scale maggiori, hanno iniziato prima e con maggiori successi. In tal caso è utile osservare cosa accade in Colorado per imparare, comprendere e fare le scelte migliori per la filiera della canapa italiana.
Vero è che negli Stati Uniti vige una suddivisione federale ben più marcata amministrativamente rispetto a quella regionale italiana. I rapporti dei territori col governo federale statunitense e la sua legislazione, hanno rapporti di forza differenti, ma ugualmente molti modelli delle filiere della canapa possono essere presi a esempio per ricalcarne alcuni passi ed evitarne altri.
Prima di tutto un quadro evolutivo del Colorado negli anni: nel 2017 le imprese agricole di questo stato federato raccoglieranno canapa su più di 3.642 ettari. Erano 2.388 nel 2016, 890 nel 2015 e solo 81 ettari nel 2014.
Crescita quasi esponenziale.
Risale al 2014 l’US Farm Bill che ha legalizzato la coltivazione della canapa industriale negli stati federati che normavano il raccolto. Il parallelo con l’Italia di questi anni fa è immediato: in quel momento negli Stati uniti c’erano solo pochi modi per ottenere i semi. I coltivatori potevano prenderne da canapa selvatica, lasciati da un’epoca passata quando la coltura era libera in tutto il Paese per la sua fibra, utile per fare corda e altri oggetti, soprattutto nel settore tessile.
Oppure potevano coltivare una marijuana a basso contenuto di THC (delta-9-tetraidrocannabinolo, il noto elemento psicotropo della canapa) o importare semi da altri Stati.
Grossi rischi: se un raccolto era caratterizzato da un livello di THC troppo alto (più dello 0,3 per cento), doveva essere distrutto. Oltretutto era difficile sapere come si sarebbe comportata una canapa selvatica una volta piantata o se sarebbe mai cresciuta.
Tre anni dopo la scelta di semi si è ampliata notevolmente e sono anche produttivamente ben più affidabili. Esistono circa 16 gruppi differenti in tutto il Colorado, situazione che permette di coltivare canapa rispondendo alla fortissima crescita di interesse su questo comparto da parte degli agricoltori e degli investitori.
L’attenzione adesso si è spostata verso il Dipartimento dell’Agricoltura del Colorado per la certificazione dei semi di canapa: si attende l’approvazione entro il 2018. È un passo vitale per l’alta espansione del settore e per la prevedibile altissima domanda che si manifesterà prima della semina del prossimo anno.
Permangono comunque grosse difficoltà con una legislazione locale e federale estremamente contraddittoria che ostacola fortemente gli agricoltori.
Eppure il settore evolve con forza.
C’è stato un crescente interesse dei coltivatori che si sono sempre più informati, hanno studiato la materia e hanno avviato l’impianto della canapa nei loro campi. Fra i vantaggi: questa coltura richiede meno acqua rispetto al mais e la produzione di CBD cannabidiolo apre verso mercati, a cominciare da quello alimentare, in grande crescita.
Naturalmente si tratta di sola canapa industriale, la Sativa L. che per precise disposizioni di legge Usa deve avere una concentrazione di THC (delta-9-tetraidrocannabinolo) inferiore allo 0,3 per cento su base secca.
La canapa coltivata in Colorado rappresenta oltre la metà della produzione del comparto in tutti gli Stati Uniti, come sottolineato da Duane Sinning, vicedirettore della Divisione industria vegetale del Dipartimento di Agricoltura di Colorado (link alla Divisione sulla canapa industriale).
Lo stesso Sinning ha ravvisato però una criticità, quella di non poter avere un’esatta quantificazione del valore di questo comparto agricolo che, sì vale milioni e milioni, ma non è per nulla delineabile economicamente nella sua esatta misura “perché l’industria sta mutando rapidamente e i prezzi cambiano in modo altrettanto veloce”.
Ma come evidenzia The Denver Post, i coltivatori che vogliono ricavare i vantaggi della canapa devono affrontare una serie di sfide quando entrano nel mercato: la legittimità federale ancora oscura sul tema, la mancanza di infrastrutture e l’incertezza sulla domanda americana di canapa e di prodotti da canapa. Gli agricoltori non possono nemmeno ottenere l’assicurazione sui raccolti.
“Se sei un contadino è già abbastanza rischioso portare avanti qualsiasi coltura in un’industria emergente – ha sottolineato Sinner – Ma se non sei sicuro di quello che è il mercato e non riesci a ottenere il minimo ritorno appartenendo a questa realtà, è davvero difficile mandare giù tutti questi rischi”.
Inoltre gli agricoltori devono lavorare senza una linea guida. In più la canapa e tutte le varietà di Cannabis Sativa L. rientrano ancora fra i farmaci dello schema I del Controlled Substances Act. A nulla sono valsi fino a oggi i tentativi per mutare la classificazione estraendo la canapa industriale da questa classificazione (articolo consigliato: Usa, la Hemp Industries Association contro la Dea che equipara cannabinoidi ed estratti da marijuana).
C’è quindi un corto circuito fra l’US Farm Bill, il Controlled Substances Act e le normative dei singoli stati che hanno dato il via libera alla coltivazione di cannabis sativa.
Impasse che rimane nonostante la proposta di legge “Industrial Hemp Farming Act” di luglio 2017 che ha visto il lavoro concorde di conservatori e democratici, documento che intende tirar fuori la sativa dalle sostanze controllate: per l’esattezza il testo intende “modificare il Controlled Substances Act per escludere la canapa industriale dalla definizione/classificazione utilizzata per la marijuana e per altri scopi.
Se non ci sarà l’approvazione federale grazie al voto del Congresso statunitense, resteranno invariati il pasticcio fra norme e la permanenza fra le sostanze farmacologiche sottoposte a rigido controllo. L’ultimo atto del percorso legislativo di questa proposta riguarda una relazione fatta lo scorso 6 settembre al sottocomitato per la criminalità, il terrorismo, la sicurezza interna e le indagini.
La situazione oggi è tale, descrive il Journal-Advocate, che può essere quasi impossibile per i coltivatori di canapa di ottenere un conto bancario.
La stessa testata ha fatto un esempio concreto fra gli altri. Jim Strang, coltivatore di canapa, non ha potuto ottenere un conto bancario per un’azienda che possiede insieme alla moglie nel sud del Colorado, la Green Acres Hemp Farm.
La famiglia Strangs è stata tagliati fuori dalle società di trasferimento di denaro Paypal, Square e Stripe, può accettare solo contanti e dal suo sito web aziendale e può solo mostrare i loro prodotti contenenti CBD come balsami per labbra, capsule con olio di canapa ad alta concentrazione di cannabidiolo e lozioni.
Lo stesso Duane Sinning, vicedirettore della divisione industria vegetale del Dipartimento di Agricoltura di Colorado, ha sottolineato che governare questa realtà è stato molto impegnativo, “stiamo prendendo tutto il peso della situazione su di noi visto che siamo i primi che stanno dando tutta la spinta necessaria per far andare avanti il settore”.
Sinning ha messo in evidenza altri due ostacoli che non permettono alla canapicoltura di “esplodere” in tutta la sua potenzialità.
Primo punto critico, coloro che intendono esportare materie prime da canapa fuori dal Colorado hanno forti preoccupazioni che vengono proprio dalla legislazione federale e quindi sulla circolazione fra stati federali di materie da canapa.
In più, gli agricoltori hanno un importante ostacolo nell’approvvigionamento dell’acqua dal sistema idrico federale (c’è anche il caso del Montana raccontato da Canapa Oggi) e quindi nel difendere i loro diritti: il Bureau of Reclamation vieta l’utilizzo di queste acque per le sostanze inserite fra quelle controllate dal governo federale.
E qui il cortocircuito legislativo riporta alla classificazione della canapa industriale nel Controlled Substances Act… inserita insieme a farmaci e stupefacenti.
Una legge del Colorado introdotta a luglio grazie al senatore Don Coram e da altri (i senatori Michael Bennet e Cory Gardner hanno presentato a luglio una proposta di legge simile), garantisce ai produttori di canapa industriale il loro diritto all’acqua federale. Purtroppo, come dichiarato dallo stesso Coram, fino a quando il governo federale non concorderà con questa linea, questi diritti delle aziende agricole rimarranno ancora a rischio.
“Fondamentalmente, stavo incoraggiando il governo federale a farsi coinvolgere”, ha detto Coram sostenendo che il contrasto tra leggi dello stato e quelle federali crea molta incertezza.
Molte delle speranze ricadono quindi nella proposta di legge federale presentata al Congresso, l’Industrial Hemp Farming Act che fra i suoi sponsor vede insieme il conservatore repubblicano del Kentucky James Comer e il democratico del Colorado Jared Polis, fiducioso nell’approvazione.
“Per la prima volta da quando ho iniziato a lavorare su questo argomento anni fa – ha scritto Polis in una risposta via e-mail – sono sicuro che la linea di arrivo è in vista per creare nuove opportunità nella canapa industriale per le realtà del Colorado, per i coltivatori, per i trasformatori di materia prima e per le aziende dedite a prodotti diretti al consumatore finale”.
(con il contributo di The Denver Post)
Commenti recenti