CBD cannabidiolo come efficace contrasto al diabete, la ricerca dell’Università di Messina
Atri risultati che arrivano da ricercatori del Dipartimento di Scienze Chimiche, Biologiche, Farmaceutiche e Ambientali, dell’Università di Messina: il CBD cannabidiolo come efficace contrasto al diabete.
Autori dello studio, Antonella Smeriglio, Enza Maria Galati, Salvatore Vincenzo Giofrè, Maria Teresa Monforte, Nicola Cicero, Valeria D’Angelo, Clara Circosta. Pubblicazione fresca, targata 2017 e diffusa da Cineca Iris – Institutional Research Information System.
“La Cannabis Sativa L. – scrivono i ricercatori – è stata un’importante fonte di cibo, fibre, olio dietetico e farmaci naturali per migliaia di anni in Europa, Asia e Africa (Prociuk et al., 2008). È caratterizzata dalla presenza di composti terpenofenolici noti come cannabinoidi. I ben noti effetti psicotropici del THC hanno molto limitato l’uso della Cannabis nel settore terapeutico. Tuttavia, la presenza nella Cannabis Sativa di cannabinoidi non psicotropi rende promettente il suo possibile uso in terapia, libera da effetti psicotropi collaterali”.
“I fitocannabinoidi non psicotropi esercitano molteplici effetti farmacologici con potenziale terapeutico in molte malattie – proseguono nella loro relazione – e il cannabidiolo si è dimostrato utile anche nel contrastare le possibili complicanze del diabete (Izzo et al., 2009; Rajesh et al., 2007). In questo nostro studio è stata analizzata l’inibizione in vitro dell’attività dell’enzima aldeide reduttasi (o aldoso reduttasi) mediante estratti standardizzati e frazioni isolate di cannabinoidi dalla Cannabis sativa L. cannabidiolo (CBD) o cannabigerolo (CBG)”.
L’aldosio reduttasi è da anni un bersaglio farmacologico di studio perché in relazione con complicanze diabetiche croniche: semplificando, trasforma glucosio in sorbitolo e con la catalizzazione data dalla sorbitolo deidrogenasi, muta il sorbitolo in fruttosio.
Questo processo compreso nella cosiddetta via dei polioli, è limitatamente attiva coinvolgendo solo il 3 per cento circa del glucosio mentre il resto viene dirottato prevalentemente alla via glicolitica.
Tutto si stravolge invece nel corso di condizioni patologiche di iperglicemia: la via glicolitica si trova satura di glucosio che può riversarsi anche nella via dei polioli. Da qui gli sbilanci metabolici e danni nei tessuti di diversi distretti, glomeruli renali e nervi periferici, cristallino e retina.
Il cannabidiolo può così essere una risorsa preziosa per limitare e frenane questo fenomeno scoraggiando le tipiche complicanze derivanti dal diabete. Strumenti utili fra i possibili, sono gli oli arricchiti con CBD.
Cosa hanno fatto i ricercatori dell’Università di Messina? Quali procedimenti hanno adottato? A che risultati sono giunti?
Gli estratti di cannabis di tipo CBD e CBG sono stati sottoposti a MPLC (Medium Pressure Liquid Chromatography) ottenendo quattro frazioni ricche di cannabinoidi.
“In questo tipo di cromatografia si realizzano pressioni comprese tra 6 e 50 bar – descrivono – mentre nell’HPLC (High Pressure Liquid Chromatography) i valori di pressione sono superiori a 50bar. Da un punto di vista pratico la distinzione tra MPLC ed HPLC è di lieve entità e le attrezzature e le procedure impiegate sono in linea di principio identiche. Rappresentano entrambe l’evoluzione strumentale della cromatografia in fase liquida su colonna classica”.
In particolare, la cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) o cromatografia liquida ad alta pressione (High Pressure Liquid Chromatography) è un potente strumento di analisi, una tecnica in chimica analitica utilizzata per separare e purificare i componenti in una miscela, per identificare ogni componente e per quantificare ciascun componente.
“È stato eseguito un metodo HPLC per l’identificazione simultanea e la quantificazione di cannabinoidi sia acidi che neutri – raccontano nella relazione – e un’analisi spettroscopica (1H NMR, GC-MS) è stata effettuata per caratterizzare estratti e frazioni”.
Gli estratti hanno mostrato una significativa attività inibitoria dose-dipendente di aldeide reduttasi (maggiore del 70 per cento).
“L’attività inibitoria era maggiore per la frazione ricca di acido cannabinoide isolato – sottolineano i ricercatori – Sono stati effettuati studi di ancoraggio per valutare l’interazione dei cannabinoidi con il sito attivo di aldeide reduttasi (ALR2). Risultati comparativi hanno mostrato una maggiore stabilità del complesso di acidi cannabinoidi rispetto agli altri inibitori, spiegando la loro più alta attività inibitoria sull’aldeide reduttasi”.
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